di Alan Friedman | Il Recovery Fund verrà reso disponibile a partire dagli inizi del 2021, e anzi già da questo autunno l’Italia potrà richiedere parte dei 209 miliardi di euro garantiti dall’Europa tra sovvenzioni e prestiti privi di interessi. Il che pone il Paese di fronte a delle scelte molto importanti. Questo è un momento più unico che raro per il Belpaese. Un momento di grandi opportunità, ma anche di grandi rischi.
Una storica opportunità
Il rischio che scorgo all’orizzonte, come economista, è che i partiti politici guardino ai famosi 209 miliardi come a un “tesoretto” o a una “torta” da dividersi secondo precise logiche di spartizione. Al contrario, questi fondi devono essere destinati a un piano nazionale per l’innovazione, la modernizzazione e l’equità sociale. La mia speranza è che entro la deadline del 15 ottobre il Governo presenterà una serie di riforme responsabili, dimostrando in questo modo che l’Italia è all’altezza di questa storica opportunità. È un’occasione preziosa per spingere con forza sulla digitalizzazione dell’economia e sulla diffusione della banda larga su tutto il territorio nazionale, oltre che per dare slancio alla green economy e offrire invitanti possibilità commerciali alle piccole imprese.
È il momento giusto per rafforzare la resilienza del sistema sanitario, investire sulle scuole, riformare la giustizia civile, riprovare a mettere mano alla riforma della pubblica amministrazione, tentare di nuovo di liberalizzare l’economia, dedicarsi a una seria riforma fiscale basata sui principi della tassazione progressiva, non sulla demagogia populista.
Ma i fondi europei non sono pensati per finanziare tagli alle tasse. Devono servire a coprire le spese per aiutare chi è rimasto senza lavoro (Sure), per rafforzare il sistema sanitario (Mes), per finanziare gli investimenti sulle infrastrutture e su altre misure capaci di creare lavoro (European Recovery Fund e prestiti Bei). Devono insomma aiutare l’Italia a riprendersi e a diventare un’economia più moderna, compiutamente europea. È per questo che è stato scelto il nome di “Next Generation”. L’Italia può utilizzare questi fondi per salvarsi e rilanciarsi. Ma è uno di quei treni che passano solo una volta nella vita.
Il rilancio dell’economia
L’economia italiana si riprenderà dai danni causati dal Covid. Se non arriverà una grande seconda ondata, l’economia dovrebbe migliorare ulteriormente nel 2021 e nel 2022. E queste sono le buone notizie. Ma nel 2022 saremo tornati al Pil del 2019, non di più. E all’epoca il nostro tasso di crescita era un misero 0,3%. Perciò questi fondi sono necessari, utili, per stimolare la crescita. Per il Paese le parole d’ordine sono digitalizzazione e sostenibilità, ed entrambe rappresentano una grande chance per dare una vera sferzata alla crescita e al potenziale di innovazione tecnologica del Belpaese. Lo diceva anche il Rapporto Colao. Ma che fine ha fatto il lavoro di Vittorio Colao? Spero che venga utilizzato e diventi parte integrante di un piano nazionale a ottobre.
Una sfida importante
Paolo Gentiloni ha illustrato in modo piuttosto chiaro l’importanza dei fondi europei. Il Commissario per gli affari economici – forse al giorno d’oggi la sua è la voce più credibile dell’Italia intera sul palcoscenico internazionale – ha espresso un chiaro monito: il piano nazionale che il governo Conte è costretto a presentare non deve essere un semplice “catalogo di spese”, ma al contrario deve tracciare una roadmap chiara e precisa delle tappe da percorrere per modernizzare l’Italia, con nuovi investimenti e una concomitante serie di riforme. Gentiloni ha insistito molto sulla necessità di non “sprecare quest’opportunità”. Ha sottolineato poi che entro il 15 ottobre l’Italia deve presentare un piano di riforme organico e completo. Quindi adesso la responsabilità è tutta sulle spalle di Palazzo Chigi. La responsabilità è sulle spalle di Giuseppe Conte, dei grillini e del Pd. Sarà un obiettivo alla portata del governo, nonostante l’eterogeneità delle componenti che lo fondano? Giuseppe Conte accetterà il Mes e terrà a bada la deriva populista dentro il governo? La risposta la scopriremo presto. Speriamo che sia sì. Alcune delle riforme di cui il Paese ha bisogno sono le stesse che Berlusconi ha promesso, senza mai realizzarle, che Monti ha cercato invano di introdurre e che Renzi ha iniziato, fermandosi però a metà dell’opera. Insomma, i passi da intraprendere per rendere più competitiva l’economia italiana li conoscono tutti a memoria. La vera domanda è se il governo si mostrerà all’altezza della sfida che si deciderà il 15 ottobre. Speriamo. Perché forse il futuro della prossima generazione dipende da questo.
L’articolo integrale è pubblicato sul Numero 4 di Elettronica AV
Chi è Alan Friedman
Giornalista, conduttore televisivo, scrittore ed esperto di economia, è stato inviato dell’International Herald Tribune e editorialista del Wall Street Journal. Ha iniziato la sua carriera come collaboratore dell’amministrazione del Presidente Carter, ha ideato e condotto vari programmi Rai, ha lavorato all’ideazione e al lancio di Rainews24 e nel 2003 ha collaborato con Rupert Murdoch alla creazione di SkyTG 24. Nel corso della sua carriera giornalistica al Financial Times di Londra, Alan Friedman è stato insignito per ben quattro volte del British Press Award. Tra i suoi scoop più celebri la scoperta dello scandalo Iraq-gate, la vendita di armi a Saddam Hussein grazie ai finanziamenti illeciti effettuati anche tramite la Bnl, che hanno coinvolto la Cia. È autore di nove best-seller, compresa la sua ultima fatica “Questa non è l’Italia” edito da Newton Compton.