di Alan Friedman | A partire dal 20 gennaio 2021, quando presterà giuramento, il presidente eletto Joe Biden guiderà una serie di cambiamenti ad ampio spettro, progettati per riportare gli Stati Uniti nella famiglia delle nazioni civili e per guarire le profonde ferite che dividono il Paese in due metà.
Sotto il profilo politico, la novità più importante è che con Biden avremo di nuovo un presidente che non lancia attacchi o insulti tramite tweet o su Fox News ogni santo giorno, che non predica odio e paura, che non aggredisce i neri e gli ispanici e altre minoranze etniche mentre liscia il pelo ai suprematisti bianchi. Avremo al contrario un presidente che si ripromette di riunire la nostra nazione lacerata e di dare il via a un periodo di guarigione. Avremo anche un presidente che crede nelle nostre istituzioni democratiche e non cerca di delegittimarle. Trump ha messo in mostra le sue tendenze autoritarie più di una volta. Non è un leader normale, quanto piuttosto un’aberrazione. Trump è il primo presidente americano che evidentemente non crede allo stato di diritto, ed è questa la ragione per cui finirà nella pattumiera della Storia. Nella battaglia contro il Covid-19, la grande novità è che avremo un presidente che non è un negazionista. A differenza di Trump, Biden crede davvero nella scienza, si affida a esperti e non vomita bugie e teorie del complotto. Biden ha già nominato una task force anti Covid di grande livello e competenza, che sarà co-presieduta dall’ex chirurgo generale Vivek Murthy, dall’ex commissario per la Food and Drug Administration David Kessler e dalla dottoressa Marcella Nunez-Smith dell’Università di Yale.
La politica economica
In termini economici, la battaglia contro il Covid è un punto di partenza, perché la traiettoria dell’economia è strettamente allineata a quella del virus. Scendiamo più nel dettaglio a proposito delle politiche economiche che possiamo aspettarci dal nuovo presidente. Innanzitutto, Biden cercherà di far approvare un massiccio pacchetto di emergenza a sostegno dei lavoratori, delle famiglie e delle aziende che stanno soffrendo i contraccolpi del virus. Il Senato a maggioranza repubblicana guidato da Mitch McConnell ha scelto di bloccare un pacchetto di aiuti del valore di duemila miliardi di dollari, mentre Biden e la leader della Camera dei deputati, la democratica Nancy Pelosi, vogliono far arrivare in fretta queste misure di assistenza a co- loro che ne hanno più bisogno. Biden si sforzerà di aiutare quei milioni di americani che sono ancora senza lavoro a causa del devastante impatto che il Covid ha avuto sull’economia. Vuole approvare un piano di investimenti pubblici da centinaia di miliardi di dollari, incentrato soprattutto sulle infrastrutture, che punta a creare almeno cinque milioni di nuovi posti di lavoro. Biden promette anche un nuovo salario minimo «di almeno 15 dollari l’ora», che sarebbe il doppio di quello attuale. Questa misura promuoverebbe anche una maggiore uguaglianza razziale: aiuterebbe molti americani bianchi che sono in difficoltà pur avendo un impiego, i cosiddetti “working poor”, ma soprattutto gli afroamericani e le altre minoranze etniche. Un’iniziativa di stampo keynesiano: sosterrebbe i consumi aumentando il reddito a disposizione delle classi più basse. È vero che Biden vuole aumentare le tasse a carico delle aziende, e anche quelle sui redditi per il due per cento di americani che guadagnano più di 400.000 dollari l’anno. Ma non sembra che Wall Street abbia paura di tutto ciò, e, anzi, tra gli investiori sta prendendo sempre di più piede l’idea che la stabilità politica sia un fattore essenziale per la buona salute dell’economia americana, anche al prezzo di tasse più alte. Infine, Biden probabilmente rinnegherà le guerre commerciali ostili e aggressive che Trump ha lanciato contro Cina e Unione Europea. Il che non significa che Biden sarà “soft” sulla Cina, ma che si comporterà in modo più sofisticato e più diplomatico rispetto al suo predecessore nel tutelare gli interessi americani. Biden sa, a differenza di Trump, che le “trade wars” sono sempre un boomerang. Un gioco a somma zero.
La maggioranza al Senato
Naturalmente la capacità di Biden di attuare tutte queste politiche dipenderà in grande misura dalla maggioranza che si verrà a instaurare al Senato. Ai primi di gennaio ci saranno due ballottaggi per i seggi, entrambi in Georgia, Stato che alle presidenziali Biden è riuscito a strappare ai repubblicani. Se i democratici a gennaio conquisteranno i due seggi della Georgia avranno il controllo di 50 voti su 100. Il che si tramuterebbe nel pieno controllo, dato che il vice presidente (in questo caso, Kamala Harris) può esprimere il voto risolutivo in caso di parità. Se invece i repubblicani manterranno 51 seggi, è improbabile che sceglieranno di cooperare con il nuovo presidente, nonostante tutti gli sforzi di Biden tesi a colmare le distanze politiche in un approccio bipartisan. Joe Biden è sempre stato un centrista. Da tutta la vita. Non è certo uomo di sinistra. Spesso ha cercato di far cooperare democratici e repubblicani, e magari arriverà addirittura a nominare qualche repubblicano nel suo consiglio dei ministri, ma questo non gli garantirà automaticamente il supporto di un Senato a guida McConnell. E tuttavia, anche con un Senato a trazione repubblicana, il presidente sarà in grado di cambiare le politiche commerciali statunitensi e la geopolitica globale in una misura tutt’altro che disprezzabile.
La politica estera
Quindi che cosa significa l’elezione di Biden per la politica estera americana? La buona notizia per l’Europa è che Biden ha già detto che vuole riaffermare l’impegno di Washington nella Nato e vuole rispettare (invece di denigrare) la tradizione atlantista. Dopo il 20 gennaio la Casa Bianca avrà ancora una volta un presidente che considera gli europei come degli alleati, non dei nemici. Forse già fin dal giorno dell’insediamento ci si può aspettare da Biden l’annuncio di nuovi piani per riportare gli Usa nell’alveo degli accordi di Parigi sul cambiamento climatico, che Trump ha abbandonato. Biden crede nella scienza e comprende anche il potenziale della green economy in termini di creazione di posti di lavoro. Biden riporterà inoltre gli Usa a far parte dell’Organizzazione Mondale della Sanità e a rispettare il sistema di regole multilaterali del commercio internazionale – mentre Trump non ha mai esitato a denigrare e paralizzare l’Organizzazione Mondiale del Commercio. È probabile inoltre che Biden cercherà di riallacciare i fili dell’accordo sul nucleare iraniano, sempre che Teheran lo permetta.
Finalmente albeggia in America. Un nuovo giorno ci attende. La nostra democrazia è di nuovo al sicuro e, per quanto la strada che ci si apre davanti possa essere accidentata, per quanto la nostra nazione sia destinata a restare lacerata ancora per anni, la vittoria di Biden è una novità straordinariamente positiva. Non solo per l’America, ma per tutto il mondo libero.
Chi è Alan Friedman
Giornalista, conduttore televisivo, scrittore ed esperto di economia, è stato inviato dell’International Herald Tribune e editorialista del Wall Street Journal. Ha iniziato la sua carriera come collaboratore dell’amministrazione del Presidente Carter, ha ideato e condotto vari programmi Rai, ha lavorato all’ideazione e al lancio di Rainews24 e nel 2003 ha collaborato con Rupert Murdoch alla creazione di SkyTG 24. Nel corso della sua carriera giornalistica al Financial Times di Londra, Alan Friedman è stato insignito per ben quattro volte del British Press Award. Tra i suoi scoop più celebri la scoperta dello scandalo Iraq-gate, la vendita di armi a Saddam Hussein grazie ai finanziamenti illeciti effettuati anche tramite la Bnl, che hanno coinvolto la Cia. È autore di nove best-seller, compresa la sua ultima fatica “Questa non è l’Italia” edito da Newton Compton.