Equilibrio di genere nelle aziende europee: a che punto siamo?

Sono stati fatti molti progressi da quando sono state introdotte le prime iniziative di equilibrio di genere nel 2011. Tuttavia, i progressi non sono stati uniformi in tutta Europa e, sebbene le quote suscitino ancora qualche perplessità, le ricerche dimostrano che sono riuscite ad aumentare la rappresentanza femminile nei CdA più rapidamente rispetto alle normative volontarie

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pixabay equilibrio di genere

di Sonia Falconieri | docente di Finanza presso la Bayes Business School (ex-Cass) di Londra

Il miglioramento dell’equilibrio di genere nei consigli di amministrazione delle società è in cima all’agenda politica europea da oltre un decennio. Le iniziative di regolamentazione dell’equilibrio di genere che i Paesi hanno adottato per affrontare questo problema si dividono in due grandi categorie: volontarie (Regno Unito, Danimarca, Finlandia, tra gli altri) e per quote (Francia, Italia e Belgio, tra gli altri).

Negli ultimi anni sono aumentate le ricerche volte a dimostrare il costo di questo disequilibrio nei CdA delle società. La maggior parte di queste ricerche si è concentrata sull’impatto di una maggiore presenza femminile sulla performance aziendale. Il nesso causale tra diversità di genere e performance aziendale è molto difficile da stabilire e le conclusioni non sono unanimi. Tuttavia, l’evidenza attuale suggerisce che un maggior numero di donne non danneggia le performance aziendali. È ancora più interessante notare che un’ampia ricerca ha rilevato differenze comportamentali sostanziali tra amministratori uomini e donne. I consigli di amministrazione con una maggiore rappresentanza femminile hanno meno probabilità di essere coinvolti in illeciti, sono più sensibili alle questioni di CSR/ESG e sono più innovativi.

Sono stati fatti molti progressi da quando sono state introdotte le prime iniziative di equilibrio di genere nel 2011. Nel 2010, la percentuale media di donne nei consigli di amministrazione delle maggiori società dell’UE era dell’11,9%, con un aumento solo del 3,6% dal 2003. Tra il 2011 e il 2016, quando la maggior parte dei Paesi dell’UE ha adottato alcune iniziative per l’equilibrio di genere, il rapporto è aumentato del 12,1%, passando al 23,9% e attestandosi ora al 32,2%.

Tuttavia, i progressi non sono stati uniformi in tutta Europa e, sebbene le quote suscitino ancora qualche perplessità, le ricerche dimostrano che sono riuscite ad aumentare la rappresentanza femminile nei CdA più rapidamente rispetto alle normative volontarie, senza comprometterne l’efficacia. A questo proposito, ritengo che la direttiva europea Women on boards sulle donne nei consigli di amministrazione, recentemente adottata, che prevede il raggiungimento di una quota del 40% di donne nei CdA di tutte le società quotate dell’UE entro il 2026, sia un passo importante per garantire che le disparità tra gli Stati membri siano finalmente appianate.

Nonostante i progressi compiuti, c’è ancora del lavoro da fare, soprattutto per aumentare la presenza delle donne nelle posizioni dirigenziali. I dati a questo proposito rimangono deludenti. Un recente articolo di Forbes sottolinea che il 10% degli amministratori delegati di Fortune 500 sono ora donne e, sebbene si tratti di un piccolo passo avanti, il 90% degli AD sono ancora uomini. La situazione è altrettanto desolante, se non peggiore, in Europa, dove solo l’8,2% degli AD delle maggiori aziende sono donne, con un aumento di appena il 5,7% dal 2012. Allo stesso modo, solo l’8% dei presidenti dei consigli di amministrazione sono donne. È necessario fare di più per sostenere le donne nel processo di promozione e in cima alla scala aziendale.

Non dimentichiamo che tutte le iniziative esistenti in materia di equilibrio di genere riguardano le società quotate in borsa (tranne che in Francia, dove la quota del 40% si estende a tutte le società private con oltre 500 dipendenti). La situazione delle aziende che non rientrano nel campo di applicazione delle iniziative di gender balance esistenti è molto meno trasparente, ma è evidente che i progressi sono ancora molto lenti.

Pochi giorni fa, la FTSE Women Leaders Review del 2023 ha pubblicato per la prima volta un’indagine su 50 delle più grandi aziende private del Regno Unito (con un fatturato superiore a 1 miliardo e 4.000 o più dipendenti). I dati mostrano che di queste 50 aziende, 19 (ovvero il 38%) hanno ancora un consiglio di amministrazione composto da soli uomini o da una sola donna. È quindi indispensabile monitorare i progressi compiuti dalle grandi aziende private per garantire l’equilibrio di genere ed evitare l’arbitraggio normativo.


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