Perché il Pnrr è importante. O, forse, era importante

L’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo, il suo nuovo Piano Marshall, a causa di ritardi, inefficienza, incapacità e burocrazia.

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PNRR Friedman

di Alan Friedman

Il Pnrr è l’equivalente di un Piano Marshall del ventunesimo secolo. Se correttamente implementato, potrebbe garantire un impulso duraturo alla produttività e alla competitività italiane e ai livelli medi di crescita del Pil. Se invece si riuscirà a concretizzare soltanto la metà dei 200 miliardi di investimenti programmati per il 2026, e se le riforme strutturali collegate al Pnrr risulteranno annacquate o indebolite, l’Italia si consegnerà mani e piedi a una crescita economica ben sotto alla soglia dell’uno per cento, e questo per i decenni a venire.

Il Governo dubbioso sul Pnrr

Se vogliamo riassumere il tutto in un solo paragrafo, è così che stanno le cose. L’opportunità era così gigantesca. La promessa di ciò che si sarebbe potuto realizzare era così abbagliante. Dopo Draghi, bastava solo che il Governo seguente approcciasse il Pnrr in modo serio, con lo stesso impegno, la stessa volontà politica, la stessa capacità e la stessa competenza del team che lo aveva preceduto. Purtroppo, non è andata così. I due componenti più a destra della coalizione dei tre partiti che formano la maggioranza hanno sempre mostrato un atteggiamento un po’ tiepido nei confronti del Pnrr: mentre davano l’impressione di essere più che felici di incassare gli 81 miliardi di euro a fondo perduto, alcuni hanno persino messo in dubbio che sia il caso di prendere tutti i fondi messi a disposizione. A differenza del governo Draghi, che nel Pnrr vedeva un modo per modernizzare l’economia e perseguire riforme cruciali, il nuovo Governo è dubbioso, non solo sulla capacità di spesa, ma anche sulla natura stessa di alcune delle riforme chiave che rientrano negli accordi complessivi. Per mesi e mesi, il nuovo esecutivo ha discusso con Bruxelles di ritardi, di consegne da allungare, di fondi NextGeneration EU da riconvertire in fondi di coesione sociale e di altri astuti trucchetti per aggiornare il piano che Draghi aveva lasciato in eredità. Diciamolo con chiarezza: determinate correzioni di rotta sono sicuramente valide. Per esempio, laddove i prezzi delle materie prime o dell’energia o gli effetti dell’inflazione hanno rivoluzionato il quadro economico nel suo complesso, è più che appropriato intervenire per ricalibrare determinati progetti in termini di pricing. Ma il signor Pnrr dell’Italia, l’ex governatore della Puglia Raffaele Fitto, si è spinto più in là: ha alzato le mani e dichiarato che è “matematicamente impossibile” che l’attuale governo possa raggiungere gli obiettivi del Pnrr nell’arco dei sei anni che si chiudono nel 2026. Non succederà, dice il signor Fitto.

La volontà di attivare le riforme

Eppure, a questo punto persino le concessioni che la Commissione Europea sta facendo al Governo Meloni potrebbero rivelarsi inefficienti per garantire il successo del Pnrr. Ricordo cosa mi ha detto Vittorio Colao, mentre stavo scrivendo il mio libro “Il prezzo del futuro: Perché l’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo”: lui e il suo team procedevano a spron battuto con la parte del Pnrr relativa alla digitalizzazione, “come se avessimo a che fare con un Ponte Morandi, con un ritmo del genere”. Colao, ha aggiunto, sperava che il governo post-Draghi avrebbe mantenuto lo stesso approccio. Bruxelles e Roma parlano di collaborazione e assicurano che i lavori del Pnrr stanno andando avanti, ma nonostante tutte le dichiarazioni retoriche i problemi ci sono e sono anche molto seri. A cominciare dall’effettiva volontà da parte del Governo di perseguire con determinazione e attivare alcune delle riforme più delicate dal punto di vista politico, che pure sono necessarie per garantire che i fondi continuino ad arrivare senza intoppi. La politica italiana è piena di gruppi di potere, lobby e corporazioni in cerca di uno scudo che li protegga dalle riforme. Un governo è spesso lo specchio della sua nazione. E questo può essere un problema per il Pnrr.

La posta in palio è grossa

E allora qual è la vera posta in palio? Perché il Pnrr è così importante per il futuro economico italiano?
La risposta è un po’ complicata, quindi vi prego di portare pazienza. Per modernizzare la sua economia l’Italia deve migliorare quella che gli economisti chiamano “produttività”, una misteriosa definizione che indica non solo l’output medio per impiegato, ma anche l’accelerazione nella produzione, nella manifattura e nei servizi impartita dall’innovazione tecnologica. Negli ultimi 20 anni la produttività italiana è cresciuta a ritmi così lenti che ormai è molto bassa rispetto a quella della Germania. E non perché gli operai tedeschi lavorino più sodo di quelli italiani, ma per tutte quelle condizioni che rendono l’economia tedesca molto più efficiente e competitiva rispetto alla controparte al di qua delle Alpi. Qualche esempio di come l’Italia potrebbe crescere così? L’Italia potrebbe aumentare la propria produttività apportando riforme strutturali al sistema fiscale, mettendo mano alle leggi sulla competizione e alle regole dei codici d’appalto, rivedendo il sistema giudiziario e garantendo una maggiore efficienza ai vari organi di giudizio, assicurando infrastrutture e connettività migliori a livello fisico e tecnologico, con un’opera di digitalizzazione di respiro nazionale che possa portare la banda larga a tutti, e prevedendo, infine, una serie di incentivi per la produzione di energia da fonti alternative e rinnovabili, per avere un’alternativa alle forniture russe, ma anche per sostenere un settore che offra lavoro in futuro. Tutti questi fattori potrebbero fare dell’Italia una nazione più competitiva, con un livello di produttività più alto. I livelli occupazionali resterebbero stabili, mentre gli stipendi di impiegati e operai andrebbero incontro a una graduale crescita nel corso del tempo.

Il Pnrr e il suo possibile insuccesso

C’è tutto questo, nel Pnrr: le riforme, la trasformazione tecnologica verso un’economia digitale, la transizione ecologica, insieme a una serie di benefit per l’educazione, la sanità, la mobilità sostenibile e molti altri settori della vita italiana. Lo scopo del Pnrr è di portare avanti la digitalizzazione e la transizione ecologica del Paese. Ma il presupposto è che il Governo concordi con queste priorità. Una produttività maggiore porta a stipendi più alti, e a un più alto tasso di crescita media del Pil. Per esempio, ho chiesto a Ignazio Visco, Governatore della Banca d’Italia, quali effetti avrebbe una piena implementazione del Pnrr sul Pil. Ha risposto che il tasso medio di crescita si alzerebbe in tal caso fino all’1,5%, o anche il 2%. Gli ho chiesto anche che cosa succederebbe, invece, se solo la metà dei soldi del Pnrr venissero investiti davvero e se fosse possibile completare solo la metà delle riforme: mi ha detto che sarebbe “un insuccesso”. Eppure, è questa la situazione in cui ci troviamo oggi. È possibile che succeda davvero. L’Italia rischia di sprecare l’occasione del secolo, il suo nuovo “Piano Marshall”, a causa di ritardi, inefficienza, incapacità e burocrazia. Se il Paese riesce a spendere solo la metà dei soldi del Pnrr rischia di vedere inchiodato il proprio tasso di crescita media del Pil intorno allo 0,5% nei prossimi anni.

Un’economia che si limita a galleggiare, che non innova, non cresce, non sfrutta i suoi punti di forza, non realizza il suo pur notevole potenziale. Un’economia che si lascia trascinare dalla corrente. Basso impero. È per questo che il Pnrr è importante, ed è per questo che non dovrebbe essere né trattato come una questione politica né depotenziato.

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