di Marina Fabiano | Siamo stati sorpresi, quasi strabiliati dalla velocità con cui l’Intelligenza Artificiale di OpenAI, e subito in coda di altri, si è fatta notare. Discussioni, articoli di approfondimento, preoccupazioni, entusiasmi hanno riempito il web di chiacchiere, più o meno fruttifere, sicuramente illuminanti. Finché la nostra natura conservatrice ha messo (anche se per poco) un ostacolo grande come un muro e ha di fatto fermato tutto. Vabbè, facciamo che siamo generosi, oltre che ottimisti, e abbiamo aspettato pazientemente la rapida dissoluzione del blocco da parte del capro espiatorio “garante della privacy”.
Qualche mese fa, alle prime timide apparizioni di ChatGpt, la prima IA a presentarsi sul mercato, ho dibattuto tra me e me: “Sarà uno strumento di lavoro aggiuntivo o sarà un nuovo pretesto per eliminare alcune professioni in bilico? Dobbiamo preoccuparci per via dei film di fantascienza che ci hanno messo paura, quando i robot o i computer prendevano il sopravvento sul genere umano? O dobbiamo rallegrarci per via delle molte nuove opportunità che avremo di eliminare lavori noiosi e sottopagati? Avremo nuovi collaboratori o nuovi concorrenti? Le aziende come reagiranno?”. Mi sento di invitare tutti a non restare lì a guardare, in attesa di evoluzioni in cui altri saranno più ferrati di noi, ma di cominciare a curiosare, studiare, provare, vederne i risvolti del futuro, arrivare preparati a comprenderne i benefici. Ce ne saranno di sicuro, a bizzeffe.
Conversare con le automazioni
D’altra parte, siamo già abituati a conversare con le macchine, quelle che abitano con noi o che ci accompagnano durante i nostri viaggi in automobile.
All’inizio ci sembrava strano, persino divertente; ora siamo capaci di irritarci quando l’IA di turno non capisce o risponde in modo sbagliato. Sarà così anche con questa intelligenza evoluta. Ormai abbiamo capito che ciò che guida ChatGpt e simili è la montagna di informazioni che sì è digerita, magari informazioni vecchie di un anno o due, magari notizie false. Se proviamo a ribattere, a rimettere a posto le frasi incorrette, a evidenziare i suoi errori, si offende pure e diventa aggressiva nelle sue risposte. Attenzione però a non interpretarla come un’intelligenza senziente, è pur sempre un’arida macchina non dotata (per ora) della conoscenza dei sentimenti. Per il momento ciò che abbiamo appurato è che il lavoro di una qualsiasi IA parte da indicazioni umane. Perciò, come è sempre successo da che i computer hanno occupato un ruolo importante sulle nostre scrivanie, dipende dal tipo di dati che vengono inseriti. Se immetti informazioni buone c’è la possibilità che ne escano contenuti adeguati, se i dati immessi sono porcherie ne usciranno prodotti inaffidabili. Dal momento in cui la nostra alleata IA, avendo intro- iettato ogni genere di parole, numeri e sequenze, emetterà il proprio scritto, o immagine, o logaritmo, lungo o corto a seconda delle indicazioni che avre- mo dato, starà a noi decidere se usar- lo come base da ampliare, modificare, aggiustare o semplicemente infilarlo nella spazzatura perché banale, incon- sistente, sbagliato. D’altra parte, fino a due secondi fa usavamo Google o un altro motore di ricerca, incappavamo in siti più o meno affidabili, alcuni delle vere scemenze affossate da pubblici- tà insopportabili, cercavamo faticosamente di ricavarne nozioni utili, poi decidevamo se e come usarle, spesso dimenticandoci di citare le fonti nei nostri definitivi e patinati prodotti finali.
Perché noi umani, invece
Ho letto in giro una dichiarazione interessante, da parte di qualcuno che sviluppa IA: “Anche noi umani generiamo testi a partire dalla probabilità di distribuzione di parole o sequenze di parole, applicando regole grammaticali, sintattiche, stilistiche, semantiche. Anche noi scriviamo quello che sappiamo e se lo abbiamo imparato da fonti discutibili ripeteremo delle stupidaggini o una versione ridotta e semplificata della realtà. Anche noi, se stimolati, miglioriamo la prima bozza, raffiniamo un’idea ne troviamo di nuove, la cambiamo”.
In più, ci mettiamo le emozioni, le storie personali, le esperienze: ecco, queste aggiunte però potrebbero non essere sempre un lato migliorativo del nostro lavoro, potrebbero condizionarne i risultati. E ancora, la capacità umana di acquisire nuove informazioni e incrociarle a quanto già esistente è comunque limitata dal tempo che ci mettiamo a studiare, dalla stanchezza, dalla memoria che col tempo tenderà ad assottigliarsi. Le macchine, invece, accumulano senza stancarsi e ricordano tutto senza difficoltà. Penso che il vantaggio sarà evidente tra chi saprà usare (ed applicare) lo strumento IA e chi starà semplicemente a guardare in attesa di capire se e come una macchina ci porterà via un pezzo di lavoro, se non tutto. E il divario tra chi sa e chi non sa si allargherà ancora di più.
Facilitare gli appunti con l’Intelligenza Artificiale?
Prendiamo ad esempio il complesso sistema degli appunti. Quanto tempo dedichiamo a prendere appunti? Durante un convegno, una lezione o un evento, ascoltando un podcast o un’intervista, seguendo un corso online, e via così, di esempi ne abbiamo a carriolate. Che ne facciamo di questi appunti? Li trascriviamo, li cataloghiamo, li salviamo in cartelle ordinate, creando altri file tematici: in attesa che tornino utili al momento giusto. E quando questo momento giusto arriva, dove andiamo a cercarli? Li troviamo? Sono ancora attuali? Ognuno ha i suoi metodi, ma solo i pignoli – quelli che spendono montagne di tempo prima – beneficiano nel dopo. Probabilmente un’IA sarà d’aiuto, a breve. Gestirà i nostri appunti, quelli che noi avremo evidenziato e ritenuto utili, li catalogherà, li archivierà e ce li restituirà in bella scrittura dietro nostra richiesta. Pensa agli scolari, quanto se ne avvantaggeranno, assimilando riassunti di riassunti. Mah! Non so se sarà proprio vantag- gioso per i loro accumuli culturali. Staremo a vedere.
Potrebbe interessarti anche: