La ricerca dell’Osservatorio Smart Working della School of Management del Politecnico di Milano è stata presentata il 3 novembre, durante il convegno online “Smart Working il futuro del lavoro oltre l’emergenza”.
Mariano Corso, Responsabile scientifico dell’Osservatorio, ha commentato: “L’emergenza Covid19 ha accelerato una trasformazione del modello di organizzazione del lavoro che in tempi normali avrebbe richiesto anni, dimostrando che lo Smart Working può riguardare una platea potenzialmente molto ampia di lavoratori, a patto di digitalizzare i processi e dotare il personale di strumenti e competenze adeguate. Ora è necessario ripensare il lavoro per non disperdere l’esperienza di questi mesi e per passare al vero e proprio Smart Working, che deve prevedere maggiore flessibilità e autonomia nella scelta di luogo e orario di lavoro, elementi fondamentali a spingere una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Bisogna mettere al centro le persone con le loro esigenze, i loro talenti e singolarità, strutturando piani di formazione, coinvolgimento e welfare che aiutino le persone ad esprimere al meglio il proprio potenziale“.
Fiorella Crespi, Direttore dell’Osservatorio Smart Working ha sottolineato però anche il rischio di trattare il lavoro agile “come un obbligo normativo o una misura temporanea ed emergenziale”, mentre invece va considerato come un’occasione storica “con benefici non soltanto nel lavoro, ma sull’intero ecosistema di servizi, città e territori”.
Dal lockdown alla fase 2
I cosiddetti lavoratori agili nella fase più critica dell’emergenza pandemica, la scorsa primavera, sono stati 2,11 milioni (il 54% dei dipendenti) nelle grandi imprese (soprattutto settori finance e ICT), 1,85 milioni nella Pubblica Amministrazione, 1,13 milioni nelle Pmi e 1,5 milioni nelle microimprese. Con la fine del lockdown e l’inizio della fase 2 della gestione dell’emergenza, aziende e PA hanno gradualmente iniziato a riaprire gli uffici. Il 66% delle grandi imprese e l’81% delle PA ha permesso al personale di rientrare in sede già fra maggio e giugno, il 7% delle grandi aziende e il 13% delle PA ha preferito riaprire durante l’estate, mentre il 20% delle grandi imprese e il 4% della PA ha atteso fino a settembre. Solo il 7% delle imprese e l’1% delle PA a fine settembre continuava a privilegiare il lavoro da remoto.
Le imprese erano pronte allo Smart Working?
Il ricorso al lavoro da casa forzato ha rivelato la fragilità tecnologica delle organizzazioni, anche delle imprese più grandi e strutturate. Il 69% di queste ha dovuto aumentare la disponibilità di pc portatili e altri strumenti hardware, il 65% di sistemi per accedere da remoto e in sicurezza agli applicativi aziendali e il 45% di strumenti per la collaborazione e comunicazione. Gli strumenti più introdotti sono stati pc portatili (nel 26% del campione) e tool per le videoconferenze (16%). Il 38% ha dato ai lavoratori la possibilità di utilizzare i dispositivi personali. Il 50% delle Pmi ha dovuto sospendere l’attività e non si è quindi attivata sulle tecnologie. Le aziende che hanno aumentato la dotazione tecnologica hanno puntato su strumenti hardware (15%), su software per la collaborazione a distanza (14%), su sistemi per l’accesso sicuro ai dati da remoto (14%) o ha incoraggiato l’uso dei dispositivi personali (14%). Più di quattro amministrazioni pubbliche su dieci hanno dovuto incrementare gli strumenti hardware a disposizione del personale (42%), quasi la metà è intervenuta sui software (49%), soprattutto applicazioni per le videoconferenze (60%), sistemi per l’accesso ai dati da remoto in sicurezza (come le VPN, 46%) e i pc portatili (29%). Tre quarti delle amministrazioni hanno incoraggiato i dipendenti a usare i dispositivi personali, a causa delle limitazioni di spesa e dell’arretratezza tecnologia. Il 43% di queste non ha integrato la dotazione personale dei dipendenti, che hanno dovuto attrezzarsi con proprie risorse, e solo il 38% si è attivata per garantire l’accesso sicuro ai dati da remoto.
Che cosa succederà dopo la pandemia?
Le organizzazioni si stanno attrezzando per tradurre le nuove abitudini e aspettative dei lavoratori in un nuovo approccio al lavoro. Una grande impresa su due interverrà sugli spazi fisici al termine dell’emergenza (51%), differenziandoli (29%), ampliandoli (12%) o riducendoli (10%); il 38% non prevede nuovi progetti ma cambierà le modalità d’uso; solo l’11% tornerà a lavorare come prima. Il 36% delle grandi imprese modificherà i progetti di Smart Working in corso e digitalizzerà i processi. Ben il 70% di chi ha un progetto di lavoro agile aumenterà le giornate in cui è possibile lavorare da remoto, passando da un solo giorno alla settimana prima della pandemia a una media di 2,7 giornate a emergenza conclusa. Il 65% coinvolgerà più persone nelle iniziative, il 42% includerà profili prima esclusi, il 17% agirà sull’orario di lavoro.
Per la PA la prima misura sarà introdurre progetti di Smart Working (48%), seguita dalla digitalizzazione di processi e attività (42%) e dall’incremento delle tecnologie in uso (35%). Anche le pubbliche amministrazioni aumenteranno il personale coinvolto nei progetti di smart working (72%), che prima dell’emergenza era solo il 12%, e le giornate di lavoro agile (47%), passando da una media settimanale inferiore a un giorno a circa 1,4 giorni a settimana.
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