Open Innovation e Circular Economy: il binomio vincente

Il cambiamento necessario può partire solo da un nuovo modello di sviluppo economico basato sull’economia circolare supportata da progetti di innovazione aperti e disponibili per tutti

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di Cleopatra Gatti |

“La pandemia ha messo a nudo la fragilità del nostro modello di sviluppo economico, rendendo evidenti due facce della stessa medaglia: nessun settore è abbastanza solido per resistere a un cambiamento radicale senza un processo di continua innovazione ed è necessario ripensare all’attuale modello in una logica di maggiore attenzione alla sostenibilità e al rispetto ambientale. Il modello a cui siamo abituati, quello lineare, fondato sull’estrazione di materie prime, sulla produzione e il consumo di massa e sullo smaltimento degli scarti, ha mostrato molte crepe, specialmente negli ultimi mesi. Un caso eclatante è quello del fashion, comparto strategico per il nostro Paese: dopo aver fatto per anni offshoring verso l’Asia, la pandemia ha bloccato intere filiere con la semplice chiusura delle frontiere. Solo chi ha saputo riadattare il proprio modello di sviluppo ha mostrato la resilienza sufficiente a fronteggiare la crisi. In questo senso un esempio è quello della filiera alimentare, che si è salvata grazie a un sistema decentralizzato, al ricorso a modelli di di prossimità e al canale digitale dell’e-commerce”, racconta Riccardo Porro, Chief Operations Officer di Cariplo Factory.

Secondo Porro è necessario ripensare il ciclo economico in termini di economia circolare: un sistema pensato per potersi rigenerare, fondato sulla valorizzazione degli scarti, l’estensione del ciclo di vita dei prodotti, la condivisione delle risorse, l’impiego di materie prime da riciclo e di energia rinnovabile. Un cambiamento di rotta di questa portata non può però gravare sulle spalle delle singole imprese ed è per questo necessario portare l’Open Innovation anche nella Circular Economy.

L’Italia ben posizionata nella Green Economy

Dal primo Rapporto nazionale 2019 sul modello dell’economia circolare realizzato dal “Circulary Economy Network”, emerge che l’Italia è al primo posto in Europa in questo ambito: con un punteggio di 103, batte il Regno Unito (90), la Germania (88), la Francia (87) e la Spagna (81). Secondo il rapporto “La bioeconomia in Europa”, realizzato dalla Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, il mercato è enorme e in Italia vale circa 345 miliardi di euro e due milioni di occupati: numeri che ci mettono al terzo posto in Europa alle spalle di Germania e Francia. “L’economia circolare ha la capacità di creare fi- liere multidisciplinari integrate nelle aree locali e di restituire, sempre localmente, risorse am- bientali, creando utile nel processo”, commenta ancora Porro.

La mancanza di una normativa centralizzata genera però grovigli burocratici che allungano i tempi e dissuadono le imprese dall’intraprendere la strada della circolarità. Un caso emblematico è quello di Fater, l’azienda leader negli assorbenti per la persona (Pampers e Lines); per riuscire a recuperare pannolini e assorbenti usati, con l’obiettivo di rimettere la cellulosa nel ciclo produttivo, Fater ha investito milioni di euro in tecnologia, ma ha poi ha dovuto aspettare quasi 7 anni per il via libera amministrativo.

Investimenti in Open Innovation

È dunque dal sostegno da parte delle istituzioni che dovrebbe passare il rilancio dell’economia basato su un modello circolare: norme chiare, meno burocrazia, un piano di incentivi da parte dello Stato, ma anche il sostegno del comparto creditizio come quello offerto da Intesa Sanpaolo con un plafond da 5 miliardi di euro.

Spiega ancora Porro: “Le risorse economiche così raccolte andrebbero poi catalizzate per avviare progetti di innovazione di largo respiro, attivando i capi filiera delle industrie italiane. Solo così si può pensare di riuscire a trasformare un intero ecosistema verso un modello virtuoso capace di creare occupazione sul territorio sostenendo la ripresa”.

Le aziende hanno infatti compreso che non si tratta di costi, ma di investimenti premianti. A mancare sono le competenze per governare il cambiamento, che possono però essere acquisite attraverso l’Open Innovation, che abilita l’accesso alle idee esterne, in particolare quelle sviluppate da start-up innovative. “Poiché non si possono avere al proprio interno tutti gli strumenti per cambiare, serve la capacità di portare il paradigma dell’Open Innovation anche nella Circular Economy, perché nessuno è in grado di affrontare da solo la complessità dei temi e delle frontiere che portano cambiamenti del genere”, conclude Porro.

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