di Rossano Salini |
L’attuale recrudescenza nella diffusione del Coronarivus, per quanto non paragonabile all’ondata devastante che ha travolto il nostro Paese e in particolare il Nord Italia in primavera, sta però portando a un nuovo clima di ansia, di incertezza, nonché di timore per le conseguenze di nuove imminenti chiusure e limitazioni della circolazione delle persone. Siamo ancora nel pieno della situazione di depressione economica generata dal lockdown totale di pochi mesi fa, e già ci troviamo a fare i conti con nuovi e inquietanti scenari che rischierebbero di dare un vero e proprio colpo di grazia al nostro tessuto economico.
L’inadeguatezza del ceto politico
In questa situazione di incertezza e confusione, emerge in modo forte l’esigenza di un ceto politico in grado di prendere con coraggio e tempestività decisioni chiare e impattanti. Un’esigenza destinata a rimanere, almeno al momento, totalmente insoddisfatta. E si tratta di una condizione generale, al di là di ogni giudizio parziale su questo o quello schieramento, su questa o quella compagine governativa. Più è grave e difficile la situazione generale, più lampante diventa l’inadeguatezza di un ceto politico mestamente legato al mero problema del consenso e privo di comprensione del presente, di visione del futuro e di conseguente forza decisionale. Al di là dunque di ciò che convenga fare nel momento attuale, è necessario una volta di più interrogarci su come si possa ricostruire un tessuto politico e istituzionale capace di far fronte con serietà e concretezza a situazioni emergenziali come quella attuale.
Veniamo dal recente esito di un referendum, quello sul taglio dei parlamentari, che ha sancito una volta di più l’insofferenza degli italiani nei confronti della politica, alimentata per di più da anni di retorica anti-casta priva di costrutto e di una reale proposta di soluzioni alternative. La prospettiva di un tale taglio non ci aiuta minimamente a capire come potremmo uscire dalla situazione in cui ci troviamo. Ci troviamo infatti a buon diritto a guardare per lo più con grande sconforto il panorama politico attuale. La prevalenza dell’istintività e del consenso facile ci porta spesso alla conseguenza estrema di diffidare dei processi democratici così come oggi vengono attuati. A volte corriamo addirittura il rischio di sperare – anche se non lo diciamo esplicitamente – che a fronte di un tale imbarbarimento sia meglio affidarsi o a un uomo solo al comando, o a qualche élite in grado quanto meno di prendere decisioni con cognizione di causa. Ecco allora che il problema dell’alternativa a tutto ciò diventa oggi quanto di più necessario e urgente.
La morte della politica
Attenzione però al concetto di alternativa. Oggi si sente spesso parlare di contrapposizione tra popolo ed élite. In termini politici questo si tramuta in una alternativa tra democrazia diretta da una parte e tecnocrazia dall’altra. Entrambe le strade, però, rappresentano a ben guardare la morte della politica vera e autentica.
La democrazia diretta, teorizzata in particolare dalla “Casaleggio Associati” ma in realtà attuata nei fatti da tutti coloro che concepiscono l’azione politica come rapporto diretto tra leader ed elettori (soprattutto al giorno d’oggi tramite lo strumento dei social), porta come conseguenza a una totale assenza di partecipazione politica: tutto si risolve nel dare l’assenso o meno a quanto proposto dal leader di turno, il quale a sua volta si limita per lo più a lisciare il pelo all’opinione dominante. La democrazia diretta produce consensi facili, che – come vediamo bene – si risolvono spesso in fuochi di paglia: grandi fiammate, ma di brevissima durata.
Dall’altra parte la tecnocrazia prevede anch’essa l’assenza totale di partecipazione: le decisioni politiche in questo senso vengono intese come mere e fredde applicazioni di leggi, di regolamenti rispetto ai quali è impossibile derogare. La salvaguardia rispetto alle dinamiche fluttuanti del consenso si tramuta in questo caso in una autoreferenzialità assoluta, incapace di seguire le varie sfaccettature della realtà, e le esigenze più profonde delle persone.
Da questa brevissima analisi emerge chiaramente che democrazia diretta e tecnocrazia (popolo ed élite) non rappresentano affatto una contrapposizione, una duplice opzione, ma si trovano ad essere due facce della stessa medaglia: la decisione politica presa a prescindere da un coinvolgimento reale, da una partecipazione effettiva del popolo alle decisioni, tramite una corretta applicazione delle dinamiche della rappresentanza.
Presenza e partecipazione
Ecco allora che la vera alternativa allo scenario attuale è il ritorno a un’azione politica come presenza e partecipazione. Una volta tutto questo avveniva nella normale vita dei partiti popolari, di massa: i circoli discutevano, le persone disposte a coinvolgersi in prima persona erano tante, le grandi decisioni passavano al vaglio delle discussioni non solo nei piani alti del partito, ma anche dei piccoli circoli, che fossero gli oratori o le piccole sezioni di partito.
Non si tratta di fare i nostalgici e riproporre un modello del passato: bisogna però dire con assoluta chiarezza che non c’è altro modo di fare politica autentica se non passare attraverso il coinvolgimento diretto, la partecipazione, la presenza delle persone. La politica a distanza – un po’ come la scuola a distanza che abbiamo visto nei mesi di lockdown – è oggettivamente e intrinsecamente contro l’umano, e incapace di dare effetti concreti, di essere efficace. L’uomo è fatto per esserci, per essere presente, per vedersi con gli altri, per incontrarsi, per parlare, per guardare in faccia la persona con cui parla, per condividere nella carne e nel sangue le idee e i valori per cui si impegna.
Se in politica oggi questo non passa più per la forma partito, allora bisognerà inventarsi altre forme: ma non si può pensare che l’essenza di quel metodo sia venuta meno, perché non vi è altro modo di far politica, così come in generale non vi è altro modo di fare le cose tra gli essere umani.
La ricostruzione della politica
E ritorniamo in questo modo al punto da cui siamo partiti: situazioni di particolare difficoltà, di emergenza sociale ed economica come quello attuale, richiedono prese di posizione, vere e proprie decisioni “politiche” nel senso pieno e globale del termine, che passino da una conoscenza della realtà basata sulla partecipazione delle persone ai processi decisionali, da una condivisione che si tramuta in finale assunzione di responsabilità. Il discorso teorico e astratto su ciò che oggi sarebbe meglio fare non regge, se non c’è il contesto in cui tutto questo si struttura e prende forma. Il problema di una ricostruzione del tessuto politico è dunque ben più complesso e urgente di un semplice e – sia pur lecito dirlo – un po’ banale e raffazzonato taglio del numero dei parlamentari. Abbiamo di fronte un’esigenza di ricostruzione sostanziale, unico viatico per arrivare alla capacità di trovare soluzioni capaci di dare speranza a una generazione che si troverà ad affrontare anni e anni di crisi sociale, economica e occupazionale, da cui si può uscire solo con scelte ponderate e lungimiranti.