di Fritz Walter |
Mi verrebbe da dire: ridiamoci sopra. È un dato di fatto che le 60e elezioni presidenziali della storia degli Stati Uniti, in programma fra poco più di un anno, si preannunciano come le più “sfortunate” di sempre. I due ometti (secondo la Treccani il contrario della parola “titano”) che molto probabilmente si sfideranno a novembre del 2024, rappresentano oggi la povertà assoluta di una classe politica (quella americana) che non ha saputo rinnovarsi. Ma forse questo non è un problema solo loro.
L’ala democratica del Congresso ha recentemente confermato la ricandidatura dell’attuale presidente degli United States of America Joseph Robinette Biden Jr., per tutti semplicemente Joe Biden. Dopo essere diventato nel 2020 all’età di 78 anni il più vecchio presidente a iniziare il suo primo mandato, l’amico Joe ha deciso di battere ogni record, puntando alla seconda nomina da ultraottantenne. Nel frattempo, le sue gaffe personali e famigliari non si contano. Sono finiti i bei tempi dei quarantenni rampanti dai nomi Clinton e Obama. Non sono messi meglio nemmeno i repubblicani se, come parrebbe, Donad Trump si presenterà alla candidatura alle primarie di partito forte di un oltre 60% di preferenze tra gli elettori dell’elefantino a stelle e strisce. Ancora scottato dalla sconfitta alle elezioni di tre anni fa, “The Donald” punta al ALL IN. Nell’ordine: eguagliare Biden ritornando presidente alla Casa Bianca dopo aver compiuto 78 anni; dimostrare, come molti elettori credono, di esser stato vittima di una persecuzione politica; cancellare, con un colpo di spugna, quattro anni di politiche (talvolta discutibili) targate Biden; e se vogliamo andare avanti a sorridere, puntare al Nobel per la pace.
Senza America (quindi senza Nato) chi vorrà continuare ad aiutare il presidente-attore Zelens’kyj? Sono infatti molti quelli pronti a scommettere che, in caso di vittoria, il primo ordine da presidente designato sarà quello di uno stop immediato agli aiuti all’Ucraina e, contestualmente, un riavvicinamento a quel Putin a cui ad Helsinki strinse la mano nel 2018 per l’ultima volta. Troppi gli interessi comuni e troppo forte la necessità di trovare accordi.
Se l’orologio dell’apocalisse ha spinto le sue lancette a 90 secondi da mezzanotte, c’è più di una ragione. Certo, la guerra in Ucraina non aiuta (a proposito, oltre l’ottanta per cento degli americani nemmeno sa dove sia esattamente ubicata l’Ucraina); ma anche le politiche internazionali contro la Cina (e/o pro-Taiwan), i rapporti ai minimi storici con la Corea del Nord dell’autoproclamato Leader supremo Kim Jong-un, e le decine di beghe per ingerenza con le varie nazioni oggi vicine all’area Brics hanno esacerbato il popolo americano e non solo.
Per questa ragione sono molti a sperare (sia tra i democratici sia tra i repubblicani) in un… candidato a sorpresa. Uno fuori per manifesta inferiorità e debolezza dovuti all’età; l’altro nell’angolo schiacciato da quattro incriminazioni. Entrambi vicino all’impeachment. Aggiungiamoci le aspettative negative sull’inflazione e sul mercato del lavoro, un debito pubblico schizzato a 32mila miliardi di dollari e, se vogliamo restare nel nostro contesto, una crisi nel settore semiconduttori di cui ancora non definiamo i contorni … possibile che in America non si possa trovare di meglio?
Leggi l’editoriale del numero 21 di Elettronica AV