di Virna Bottarelli |
Spea ha contribuito in prima persona agli sviluppi tecnologici che negli ultimi decenni hanno interessato trasversalmente industria e servizi. Oggi come allora, alla guida dell’azienda di Volpiano sita in provincia di Torino, c’è Luciano Bonaria, fine conoscitore del settore dell’elettronica e protagonista di quell’industria piemontese oggi così diversa da quella che, quarantacinque anni fa, lo ha visto muovere i primi passi da imprenditore. “Con le nostre macchine abbiamo contribuito a uno sviluppo tecnologico continuo, come continua è stata, e sarà, l’evoluzione della microelettronica”, dice. “Produciamo macchinari indispensabili per un settore che si è rivelato altrettanto fondamentale: fino a qualche tempo fa l’elettronica era un di più, rappresentava un comfort. Oggi è una componente essenziale in tutti i campi della nostra vita, dai consumi alla sanità”.
L’articolo integrale è pubblicato sul numero 12 di Elettronica AV
La vostra è un’azienda high-tech. Eppure, lei ha detto che “il testing è un’arte”. Ci spiega perché?
Nel nostro lavoro c’è una componente artistica, nel senso che noi lavoriamo sul nuovo, su invenzioni fatte da altri. E spesso l’inventore non ci rivela tutti i dettagli del prodotto che ha concepito e per il quale noi dobbiamo progettare la macchina di test. Ogni soluzione che progettiamo e costruiamo è qualcosa di unico, che nasce dalla mente. E ciò che nasce dalla mente è un’arte. La scienza e la matematica sono applicate in un secondo momento, per replicare quanto è stato concepito dall’ingegno. Realizziamo una macchina ex novo e per farlo serve inventiva, creatività. Quando ci viene commissionata una macchina non abbiamo idea di come la si possa fare: ogni volta è una sfida diversa.
La ripresa post-pandemia è avviata, ma non mancano criticità: su tutte, l’aumento dei prezzi delle materie prime e la “crisi dei chip”. Come impattano queste problematiche sul business di Spea?
Certamente risentiamo delle difficoltà del momento per quanto riguarda la dilatazione dei tempi di consegna e l’aumento dei costi di materie prime e componenti elettronici necessari a produrre le nostre macchine. Reagiamo avvalendoci di una rete di fornitori flessibile e radicata sul territorio, il che ci consente di ridurre notevolmente l’impatto delle problematiche legate a logistica e trasporti. Stiamo infine potenziando i nostri piani di acquisto pluriennali, in modo da ridurre i rischi legati a futuri shortage dei componenti chiave per le nostre produzioni.
Negli ultimi mesi si è parlato della possibilità che Intel stabilisca una sede produttiva a Torino. Che cosa rappresenterebbe questo per Spea e per il territorio?
Intel è un colosso nel settore dei semiconduttori, che noi ben conosciamo. Avere una loro sede produttiva geograficamente vicina faciliterebbe ulteriormente lo sviluppo di cooperazioni industriali di reciproco interesse. Se decidessero di stabilire a Torino l’intero processo produttivo dei loro semiconduttori, per l’Italia si tratterebbe di una grande opportunità di re-industrializzare un territorio che negli anni si è de-industrializzato, con la conseguenza positiva di creare occupazione per la popolazione locale. Oltretutto, essendo l’industria della microelettronica destinata a crescere, proprio perché serve tutti i settori, la richiesta di risorse umane in questo comparto avrebbe anche una prospettiva di lungo periodo. Avere sul nostro territorio industrie che producono elettronica consentirebbe quella crescita alla quale, in modo miope, abbiamo rinunciato anni fa, quando le grandi fabbriche di microchip sono state delocalizzate: oggi il 70% dei semiconduttori sono prodotti a Taiwan, un Paese che solo cinquant’anni fa era tra i più poveri al mondo. Purtroppo, in passato, non si è data la giusta importanza all’industria della microelettronica, non si è stati capaci, anche a livello istituzionale e politico, di capire che si trattava di un’enorme fonte di ricchezza. È chiaro che anche oggi bisogna fare una riflessione su come attrarre gli investimenti di un colosso come Intel: perché dovrebbe investire proprio in Italia? Indubbiamente Torino è una delle città con le migliori infrastrutture industriali al mondo e con una disponibilità di risorse umane molto qualificate, ma se a questi pur importanti fattori non si aggiungono vantaggi concreti in termini economici e fiscali, allora il livello di attrattività rimarrà sempre inferiore a quello di Paesi che, pur non avendo un particolare retroterra imprenditoriale e una formazione tecnologica pari alla nostra, offrono molti più vantaggi in termini di tassazione. Un esempio su tutti è l’Irlanda, che oggi ospita i big dell’high-tech.
Un altro argomento di attualità è quello della sostenibilità ambientale, che è entrato nell’agenda di tutte le grandi aziende dell’elettronica. Come lo affrontate in Spea?
Le grandi industrie alle quali vendiamo i nostri macchinari esigono che i loro fornitori siano eco-sostenibili, per tanto la sostenibilità ambientale per noi non solo è un valore in cui crediamo, perché sono convinto che sia un dovere comune a tutti quello di salvaguardare il Pianeta, ma è anche un obbligo. Ci siamo posti l’obiettivo di essere carbon free entro il 2030 e contiamo di raggiungerlo, anche perché fortunatamente la nostra attività produttiva non è particolarmente inquinante; non eseguiamo lavorazioni con un alto impatto ambientale. Le risorse che “consumiamo” sono essenzialmente l’energia elettrica, che già adesso proviene al 100% da fonti rinnovabili, e quella “fisica” dei nostri 800 lavoratori. Non abbiamo particolari scarti da smaltire, se non cartone e poco altro.
In una sua intervista rilasciata a “La Stampa”, ha detto che bisognerebbe dire ai giovani che “Torino è meglio dell’estero”. Che cosa fare per convincere i nostri migliori cervelli a non “fuggire”?
Torino è una città vivibile, a cui non manca nulla dal punto di vista paesaggistico, culturale, gastronomico. Sul territorio ci sono poi eccellenze industriali in diversi settori, che offrono ottime opportunità professionali. Un ragazzo in gamba non ha bisogno di andare all’estero per fare carriera o comunque per trovare un impiego di alto livello professionale. C’è però un grosso limite nel nostro sistema retributivo, che ci impedisce di riconoscere economicamente in modo adeguato la professionalità dei nostri giovani. Un tecnico specializzato dovrebbe avere una retribuzione più elevata rispetto a un operaio di linea, ma gli strumenti che abbiamo per riconoscere economicamente questo maggior livello di specializzazione non sono adeguati: il lavoro straordinario e i premi, ad esempio, comportano una tassazione che incide in modo eccessivo sullo stipendio del dipendente. Per riconoscere concretamente la qualità del lavoro di un tecnico specializzato dovremmo erogare somme talmente elevate da compromettere la competitività dell’azienda, che è fatta per la maggior parte proprio da tecnici specializzati. Da anni ripeto, se ho l’occasione di parlare con rappresentanti politici e delle istituzioni, che bisogna intervenire su questo aspetto, ma ad oggi non è cambiato nulla. Eppure, non dovrebbe essere difficile capire che un bravo ingegnere va valorizzato anche economicamente, perché dal suo ingegno nascono i prodotti la cui realizzazione dà lavoro a un numero ben più ampio di operai e impiegati.
L’articolo integrale è pubblicato sul numero 12 di Elettronica AV
Chi è Luciano Bonaria
Nato a Torino nel 1948, figlio di un calzolaio che nel suo laboratorio di Piazza Castello confezionava scarpe per tutta la famiglia reale, dopo il diploma di perito elettronico Luciano Bonaria entra in Olivetti nel 1968 per passare poi, come ricercatore e progettista, alla General Electric. Nel 1976 fonda Spea (Sistemi per l’Elettronica e l’Automazione), oggi leader mondiale nel settore dei macchinari per collaudo di wafer a semiconduttore, microchip, Mems, sensori, schede e dispositivi contenenti elettronica, nano e microtecnologie.