di Fulvio Marcandelli | Senior Credit Manager di Avnet EC Emea
Nell’ambito della gestione del credito, non è semplice proporre delle soluzioni che possano facilmente posizionare le nostre aziende “in sicurezza”. Per evitare situazioni di rischio, è comunque fondamentale aver svolto un’attività di prevenzione pregressa.
Se però non si è provveduto in passato a strutturare i propri assetti creditizi, seguendo il concetto base del Risk Management – e cioè del “trasferimento del rischio del credito” ad altri soggetti, tipo assicurazioni del credito piuttosto che a Factor con operazioni di factoring pro-soluto, o altro – si è già in ritardo: se non posso eliminare il rischio (e con le vendite “a credito” non è possibile) devo trovare altri soggetti che se ne facciano carico, e trasferirglielo, minimizzando gli effetti.
In tempi brevi non è possibile nemmeno ristrutturare le proprie Credit Policy o le strutture dei propri “Credit Department” per affrontare la nuova fase di ripartenza, con tutto ciò che questa porterà con sé. Quello che sicuramente si può fare è cercare nelle nuove soluzioni digitali presenti sul mercato, quei prodotti che possono aiutare ad automatizzare il lavoro che fa da corollario all’attività di collection, in modo da “liberare” risorse specializzate, dedicandole all’attività di “microvigilanza” preventiva che anticipa, minimizza o evita l’attività di recupero. Penso all’automazione della gestione degli incassi, alle riconciliazioni degli estratti conto, all’introduzione di nuovi service che siano in grado di razionalizzare e rendere efficace la reportistica proveniente dal mondo Otc (Order to cash). Parlando di attività preventiva, quanto siamo certi di essere in grado di individuare quali siano le aziende clienti che stanno avendo difficoltà ad accedere al credito bancario e che, quindi, si troveranno maggiormente in difficoltà su come reperire finanza per la propria azienda per far ripartire gli investimenti, una volta terminata la fase acuta, caratterizzata dal cosiddetto “Credito Garantito”? Quando non resterà che cercare dei nuovi finanziamenti per i propri investimenti, attraverso la creazione di nuovo debito, rendendo di fatto la propria struttura finanziaria sempre più insostenibile e inadatta ad affrontare la ripresa, ne vedremo delle belle. Per questo è indispensabile che tale ripresa arrivi presto e che sia sostenuta con continuità dai vari incentivi statali che dovranno necessariamente essere oculati e scrupolosamente mirati, soprattutto nel mondo delle Pmi e delle Mid-Cap. Per questo motivo le scelte di politica economica nazionale prese in questo periodo, saranno determinanti per il futuro dei prossimi mesi e non solo.
L’aumento delle insolvenze
È innegabile che in questo periodo ci siano aziende e imprenditori che hanno superato brillantemente la prima fase di contrazione del mercato domestico della primavera del 2020, ma che stanno guardando con una consapevole apprensione al prossimo futuro (si possono cercare a questo proposito nel web, alcune interessanti interviste tra cui quella rilasciata da Remo Ruffini di Moncler, che prudentemente afferma che “il rischio zero non esiste” e auspica che le “iniezioni di liquidità nel sistema non vadano solo stanziate, ma rese immediatamente disponibili”, operazione non banale, né facile). In questo periodo, laddove si prevede che le insolvenze delle imprese a livello globale aumenteranno del 26% nel 2020, poiché la pandemia di coronavirus spinge l’economia mondiale verso la recessione, bisogna considerare anche le notizie che ci arrivano dal mondo.
La situazione internazionale
La Cina è l’unico mercato importante che si prevede possa sfuggire alla recessione. Essendo in anticipo sulla curva epidemica, ha avvertito il maggiore impatto nel primo trimestre del 2020, mentre nel secondo trimestre l’attività economica ha registrato una ripresa del 3,2%, con una proiezione di chiusura al 4,9% per il 2020, e quasi del doppio nel 2021. La ripresa nel 2021 è in ogni caso incerta. La portata della contrazione economica varia da Paese a Paese poiché è influenzata da numerosi fattori. Innanzitutto, si prevede che la recessione economica sarà maggiore nei Paesi dove sono stati applicati lockdown più lunghi e restrittivi. Tali misure di contenimento limitano infatti la produzione e il consumo di prodotti e servizi. Inoltre, la domanda può diminuire con la perdita di reddito dei lavoratori e l’aumento dell’incertezza economica fa crescere la propensione al risparmio.
Italia, Francia e Spagna, Paesi gravemente colpiti dal virus che hanno attuato lunghe e severe misure di contenimento, stanno assistendo a una forte contrazione del Pil nel 2020, in quanto la loro attività economica dipende fortemente dal turismo e dai servizi, limitati dall’epidemia di coronavirus. I Paesi dell’Europa del Nord dovrebbero in generale assistere a minori contrazioni. La Germania, la Danimarca, l’Austria e i Paesi Bassi stanno riuscendo meglio a contenere le nuove infezioni, con economie che sembrano adattarsi più facilmente alle restrizioni sociali. La Svezia ha registrato la più bassa contrazione del Pil tra tutti i Paesi analizzati. Ma nonostante l’approccio relativamente blando, l’economia svedese entrerà comunque in recessione quest’anno. Il Regno Unito si distingue come il Paese del Nord Europa con la più alta contrazione del Pil. Anche il governo del Regno Unito ha inizialmente cercato di attuare una politica che portasse all’immunità di gregge, tuttavia, l’economia è stata costretta poi ad affrontare un brusco e rigido lockdown, poiché è diventato evidente che il sistema sanitario non era in grado di far fronte all’alto tasso di contagi. Ciò che complica ulteriormente la situazione è che l’economia soffre per l’incertezza legata alla Brexit.
Al di fuori dell’Europa, gli Stati Uniti, il Giappone e l’Australia hanno una prospettiva più positiva. Gli Stati Uniti, pur essendo gravemente colpiti dalle infezioni da Covid-19 hanno limitato l’attività economica in misura minore. Inoltre, è probabile che la popolazione abbia ridotto meno i consumi rispetto all’Europa, in quanto l’amministrazione statunitense ha inviato segnali più timidi sulla gravità della crisi sanitaria. L’Australia si colloca tra i Paesi sviluppati con le migliori performance economiche. È un esempio di successo per il contenimento delle nuove infezioni, anche se l’economia australiana è ancora vulnerabile a causa dell’elevata importanza del settore turistico e delle esportazioni verso il Sud-Est Asiatico. Infine, il Giappone è relativamente più vulnerabile dei due Paesi precedenti, poiché il suo approccio misto di restrizioni severe all’inizio della crisi, seguito da aperture premature e da un secondo significativo aumento delle infezioni, avrà un impatto sull’attività economica, con un Pil che dovrebbe registrare una contrazione del 6% nel 2020.
Ritornando al mercato domestico, prepariamoci al 2021 nella speranza che la ripartenza avvenga in tempi brevi per calmierare gli effetti che gli aumenti dell’indebitamento delle nostre imprese ci porteranno in dote per il nuovo anno.