Dove è finita la Silicon Valley?

Lo spettro della spirale di crisi che spaventa San Francisco e altre capitali americane della tecnologia.

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Silicon Valley Friedman

di Alan Friedman | Se uscite dalle porte dell’hotel Four Seasons di San Francisco e girate a sinistra su Market Street, non riuscirete a fare più di qualche metro senza imbattervi nei dannati della terra, un esercito di senzatetto e disperati che cercano riparo davanti alle saracinesche di negozi deserti. Affollano i marciapiedi, spesso sono aggressivi, molestano i passanti nella speranza di ottenere qualche spicciolo, e altrettanto spesso subiscono le violenze dei tossici di zona. Qualche settimana fa sono stato nel “Tenderloin”, un quartiere del centro, ridotto ormai a una zona di guerra. Criminalità, sbandati, drogati di fentanyl. I miei amici si sono raccomandati di non lasciare nulla in macchina, per nessun motivo, e anzi di non lasciare neanche la macchina stessa, che avevo preso a nolo. Meglio non parcheggiare in centro, i ladri sono ovunque. La progressista San Francisco ha stabilito di recente che i furti per un valore inferiore ai mille dollari non sono perseguibili. Ne sono scaturite rapine a valanga, in stile flash mob: orde di ladri che entrano nei negozi, prendono la merce e scappano. Union Square è oggi un desolante spettacolo di negozi vuoti e cartelli “Affittasi” o “Vendesi” in vetrina. Proseguendo verso le boutique degli stilisti italiani, nell’elegante quartiere dello shopping, si può notare uno schema preciso che si ripete con inquietante frequenza: per ogni negozio di Armani, Brunello Cucinelli, Prada o Versace ce ne sono altri due chiusi, caduti sotto i colpi della batosta economica che San Francisco ha incassato durante e dopo il Covid. È la prova più evidente della crisi che continua a svuotare il centro di negozi, ristoranti, lavoratori.

Ma cosa sta succedendo?

Dal 2010 in poi San Francisco ha prosperato grazie alla rapida crescita dell’industria tecnologica. Quella che un tempo era la città degli hippy è diventata il quartier generale di una sempre più nutrita schiena di miliardari della Silicon Valley. I palazzi e gli uffici si sono riempiti di ingegneri e di nerd che guadagnavano lauti stipendi, e i prezzi degli immobili sono saliti alle stelle. Poi è arrivata la pandemia. I dipendenti del settore tech non hanno avuto problemi a passare allo smart working, ma in seguito molti – la maggior parte – si sono rifiutati di tornare in ufficio a tempo pieno. Dopo di che sono arrivate le scosse di assestamento del settore: l’anno scorso le grandi aziende tecnologiche hanno cominciato a licenziare decine di migliaia di dipendenti. Di conseguenza, oggi ci sono meno nerd che possono permettersi di vivere in centro. Secondo le stime dell’ufficio del censimento degli Stati Uniti, molti residenti hanno lasciato la città: dal 2020 al 2022 la popolazione della contea è diminuita di più del 7%, ovvero oltre 60.000 persone in meno. È sceso anche il numero dei turisti. Il risultato di tutto questo è che oggi più del 25% degli uffici di San Francisco sono sfitti. Alcuni edifici sono addirittura vuoti per metà. Professionisti di alto livello del settore immobiliare mi hanno detto che parecchi imprenditori non possono più permettersi i mutui e i prestiti concordati per la costruzione di questi edifici e sono pronti ad alzare bandiera bianca, passando la patata bollente nelle mani delle banche. Una dinamica che mette sotto pressione le banche stesse, in particolare quelle di medie dimensioni, come la Silicon Valley Bank che è fallita qualche mese fa. “Non mi stupirei se nel corso dell’anno si verificasse una piccola crisi bancaria o una serie di acquisizioni di piccoli istituti da parte di banche più grandi”, mi ha detto un dirigente di San Francisco.

Il circolo vizioso

Ricapitolando: in centro gli uffici si svuotano, ma senza di loro ristoranti e negozi non possono sopravvivere, e non possono sopravvivere nemmeno i grandi costruttori che hanno tirato su interi grattacieli dalle fondamenta appena un decennio fa e adesso non sono in grado di restituire i prestiti. Al momento il settore tecnologico di San Francisco assorbe il 76% del mercato degli uffici in subaffitto disponibili in centro.

Gli economisti lo chiamano “doom loop”, un circolo vizioso da cui è difficile tirarsi fuori. Un evento negativo ne innesca un altro che a sua volta ne innesca un altro ancora, altrettanto negativo, se non addirittura peggiore. Una spirale che va verso il declino.

In un contesto urbano di solito l’evento scatenante interessa un settore fondamentale, come successe a Detroit negli anni ’70, quando l’industria abbandonò la città. Nel caso di San Francisco le cause sono state il Covid, con le sue ripercussioni sul lavoro da remoto, e i licenziamenti di massa da parte di Amazon, Google e Meta. I lavoratori lasciano gli uffici, il flusso di turisti si restringe, le entrate fiscali precipitano, i servizi pubblici vanno in crisi, le imprese chiudono, i tassi di criminalità salgono. E allora i residenti se ne vanno, i pendolari non vengono più, i clienti non entrano nei negozi. La spirale si rinforza da sola.

La decadenza delle aree hi-tech

La stessa cosa sta accadendo in misura minore anche in altre città fortemente legate al settore tecnologico, come Portland, Seattle e Vancouver in Canada. L’unico fattore in grado di invertire questa tendenza sarebbe probabilmente un nuovo boom nel settore tech capace di creare un’altra ondata di assunzioni. Ma si tratta di un’eventualità poco plausibile nel prossimo futuro, e in ogni caso è impossibile fare previsioni in tal senso. San Francisco, come tante altre città, rischia di restare invischiata per anni e anni nella spirale di decadenza, senza che all’orizzonte si scorgano soluzioni percorribili. È davvero triste vedere una città che soffre così tanto, ma questa è la storia dell’economia locale. I giganti della tecnologia si lasciano alle spalle una scia di sofferenza e dolore. E forse le cose peggioreranno ancora, prima di migliorare.


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