di Giorgia Andrei |
Social Innovation Monitor ha presentato a inizio aprile il Report annuale sugli incubatori/acceleratori. Sim è un team di ricercatori e professori di diverse università, accomunati dall’interesse per l’innovazione e l’imprenditorialità a significativo impatto sociale, ed è coordinato da Paolo Landoni, professore del Politecnico di Torino, il cui rettore, Guido Saracco, ha introdotto la presentazione dell’indagine.
Oltre a ricordare che l’incubatore I3P dell’ateneo torinese è stato nominato il Miglior Incubatore Pubblico su scala globale secondo l’UBI Global World Rankings of Business Incubators and Accelerators 2019 – 2020, e a evidenziare il ruolo delle nuove tecnologie nella realizzazione di uno sviluppo sostenibile, Guido Saracco si è soffermato sull’esigenza di un nuovo approccio nella formazione dei profili professionali tecnologici: “Occorre formare ingegneri e tecnologi che abbiano una sensibilità verso le problematiche della società e che siano consapevoli della complessità della nostra epoca. Questo comporta stimolare creatività e senso critico e preparare professionisti adatti a dialogare anche con chi ha background diversi dal loro”. E proprio gli incubatori, in quanto a contaminazione e co-progettazione, possono essere un ottimo laboratorio.
Opportunità e limiti degli incubatori
L’indagine di Sim si è basata sulle risposte di 85 dei 212 incubatori presenti in Italia. Partner istituzionali della ricerca sono InnovUp, l’associazione nata dall’unione di Italia Startup e Apsti, e PNI Cube, l’associazione italiana degli incubatori universitari. “Gli incubatori sono attori fondamentali nell’ecosistema dell’imprenditoria innovativa, per il loro stretto legame con il territorio e la loro capacità di far emergere un’innovazione dal basso che altrimenti non riuscirebbe a raggiungere il mondo del Venture Capital”, ha detto Giorgio Ciron, direttore di InnovUp. “Tuttavia, gli incubatori certificati sono ancora un numero limitato: probabilmente perché la normativa vigente prevede, a fronte di requisiti molto stringenti per gli incubatori, pochi benefici”. Un trend positivo nell’ottica del rafforzamento del sistema degli incubatori, comunque, c’è. Rispetto al 2019 si è registrato un aumento degli incubatori che acquisiscono quote societarie nelle organizzazioni incubate: la percentuale è passata dal 27% al 34% e questo dato fa ben sperare, secondo Francesco Cerruti, direttore generale di VC Hub, l’associazione italiana degli investitori in innovazione: “Il fatto che accanto a investitori regolamentati vi siano anche incubatori che iniziano a investire risorse proprie è utile alla crescita dell’ecosistema innovativo nel suo insieme: non dimentichiamo che in Italia siamo indietro rispetto agli altri Paesi, sia in termini di volumi investiti sia per quanto riguarda la possibilità di scalare delle realtà innovative. Per questo è importante che si cresca complessivamente”.
Un comparto giovane
Più della metà degli incubatori (59%) presenti in Italia sono stati costituiti a partire dal 2013, con un picco nel 2016, dovuto probabilmente a un crescente interesse verso innovazione e imprendito- rialità da parte di soggetti privati.
Rispetto al 2019 si è assistito a un aumento del numero di incubatori individuati: da 197 si è passati a 212 (+8% circa). Il campione analizzato dal Report è rappresentativo della diffusione geografica, che vede il 57% degli incubatori in Italia settentrionale. La Lombardia è la regione che ospita il maggior numero di incubatori, con il 26% del totale, seguita dall’Emilia-Romagna, con il 13%, e il Lazio con il 9%. Per quanto riguarda la tipologia di incubatori, il numero e la percentuale di quelli che supportano organizzazioni a significativo impatto sociale, i cosiddetti Mixed e Social incubator, sono rimasti quasi identici all’anno precedente: è il 52% del campione. Dati più utili a inquadrare il comparto sono però quelli relativi ai fatturati: la media dei fatturati della popolazione degli incubatori italiani è di 1,76 milioni di euro. Significativo è però il fatto che solo un piccolo numero di incubatori ha fatturati di grandi dimensioni: la mediana è, infatti, pari a 360 mila euro. Rispetto al 2019, c’è stata una leggera riduzione del fatturato medio per incubatore, mentre è leggermente aumentata la mediana, che era di 350mila euro. Parliamo, comunque, di realtà di piccole dimensioni in termini di dipendenti: circa l’82% ne conta meno di 8. Guardando alle startup incubate, invece, emerge che circa il 39% delle stesse ha un fatturato maggiore ai 100 mila euro. Anche in questo caso, un limitato numero di startup ha un fatturato notevolmente più elevato rispetto alle altre. Analizzando i fatturati delle startup incubate maggiori di 500 mila euro, emerge che per il 92% dei casi essi non superano il milione e mezzo di euro.
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