Salvatore Pennisi: puntiamo molto sull’elettronica

A colloquio con Salvatore Pennisi, professore ordinario di elettronica e presidente del Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Elettronica all’Università degli Studi di Catania, che ci racconta perché, nell’interesse del territorio e delle nuove generazioni, è bene puntare sull’elettronica e coltivare il rapporto tra mondo accademico e imprese

12
elettronica Pennisi

di Virna Bottarelli | Catanese, si è laureato e insegna a Catania: è Salvatore Pennisi, presidente del Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Elettronica all’Università degli Studi della sua città, alla quale è indissolubilmente legato, sebbene oggi viva a Taormina. “Sono catanese, mi sono laureato a Catania, lì ho conseguito il Dottorato e ho fatto il ricercatore. Collaboro tuttora con persone con cui ho condiviso gli anni dello studio e mi sento, per questo, in una condizione privilegiata, perché questi rapporti si nutrono di una conoscenza pregressa e di legami che vanno oltre l’aspetto professionale”, racconta.

Nel suo percorso professionale Salvatore Pennisi ha sempre cercato di valorizzare il rapporto tra l’Università e le realtà aziendali del territorio, nella convinzione che le relazioni tra mondo accademico e tessuto imprenditoriale locale vadano coltivate nell’interesse di entrambi: “Le aziende hanno bisogno dell’Università per accedere ai giovani da inserire nei loro organici e l’Università deve conoscere le esigenze delle aziende per offrire corsi di studio validi e formare laureati che siano facilmente impiegabili. Catania, con i casi di STMicroelectronics e la Giga Factory Enel Green Power, è un esempio di come si possano costruire sinergie virtuose sul territorio. Un’azienda che si occupa di produrre tecnologia, per poter funzionare ha bisogno di un ecosistema complesso, fatto di altre realtà che forniscono materie prime, tecnologie e servizi, e il territorio catanese ha tutti questi elementi, a cui si aggiungono gli ulteriori centri di importanti compagnie, come Analog Devices, NXP, Technoprobe, Advantest ecc. Insomma, la nostra Regione, nota soprattutto per il proprio patrimonio storico e paesaggistico, ha in realtà le carte in regola per giocare un ruolo da protago- nista anche nel settore hi-tech”.

Come ha affermato il management di STMicroelectronics, con l’avvio dell’impianto di produzione di substrati in carburo di silicio che avrà sede proprio nella vostra città, si potrà rafforzare il ruolo di quest’ultima come “centro di competenza globale per la tecnologia SiC”. Che cosa significa questo per la vostra Università?

L’impianto, che dovrebbe entrare in funzione in questi mesi, è il frutto di un impegno iniziato almeno vent’anni fa, quando STMicroelectronics con il CNR e l’Università di Catania iniziarono a compiere studi sul carburo di silicio. Parliamo di una fabbrica classificata come “first of a kind dall’UE, dedicata alla produzione in volumi di wafer di diametro da 200 mm in SiC, e integrata, perché, a esclusione del back-end, che sarà eseguito nel Far East, il processo produttivo include tutte le fasi. L’obiettivo è, quindi, accorciare la filiera di produzione dei semiconduttori e ovviare alle problematiche di shortage che hanno afflitto il settore negli ultimi anni. ST detiene una quota di oltre il 50% del mercato dei componenti in carburo di silicio destinati alle auto elettriche e la maggior parte di questi sono realizzati proprio a Catania. Si tratta di un comparto molto promettente, se è vero che nei prossimi anni il 25% del costo di un’auto sarà rappresentato dai componenti elettronici e che, tra questi, quelli dedicati alla potenza saranno in SiC. Oltre a rappresentare un riconoscimento per il lavoro svolto in tanti anni dall’Università di Catania, per quest’ultima l’insediamento del sito produttivo di ST è quindi anche un investimento per il futuro: abbiamo già sottoscritto un accordo quadro con ST su tematiche di ricerca di interesse comune in ambito Power Electronics, con lo scopo di creare un polo di eccellenza proprio qui a Catania. E sempre in questo ambito è stato anche avviato un master universitario di II livello.

A proposito di ricerca, quali sono le nuove frontiere dell’elettronica sulle quali si sta lavorando?

A catalizzare l’attenzione è sicuramente il campo delle biotecnologie, con una serie di studi e ricerche che, ad esempio, prevedono la possibilità di impiantare microchip nel corpo umano per la cura di patologie neurologiche come l’epilessia o il morbo di Alzheimer. Anche per noi che facciamo ricerca è difficile immaginare fino a che punto potrà spingersi l’innovazione nell’elettronica, ma è certo che per realizzare applicazioni così avanzate occorre risolvere prima alcune problematiche. In particolare, è necessario potenziare l’intelligenza delle interfacce mondo-macchina per renderle capaci di percepire, comprimere e rielaborare le tante informazioni trasmesse da una sempre più ampia base di sensori. Questi ultimi, infatti, producono una mole di dati che, per essere trasmessi e processati, richiedono reti e potenze di calcolo di cui al momento non disponiamo. Occorre, in sostanza, che a livello di interfaccia mondo-macchina si realizzi quel meccanismo che avviene normalmente nel cervello umano, capace di comprimere le informazioni ricevute in un rapporto di 100 a 1. Un altro lavoro di ricerca va fatto sulle memorie, perché tutti i dati di cui parliamo devono essere immagazzinati, e sulla trasmissione dei dati stessi, perché ad oggi c’è uno squilibrio enorme tra i dati che vengono prodotti e quelli che riusciamo a trasferire. Si sta lavorando molto anche sul fronte dell’intelligenza “at the edge”, ossia sulla capacità di elaborare le informazioni localmente, in modo da poter trasferire solo i dati necessari al determinato scopo, e sulla sicurezza dei dati: ci saranno aree del mondo altamente connesse ed è fondamentale che tutti i dati siano criptati in maniera assolutamente efficace. C’è poi un’ultima questione determinante: dovremo trovare nuove fonti energetiche per far fronte alla richiesta di energia necessaria per elaborare tutti questi dati.

Le attività di ricerca e sviluppo negli ambiti che ha citato avranno delle ricadute positive sull’economia del nostro Paese?

Il nostro Paese, ma direi l’Europa tutta, ha una grandissima potenzialità in termini di ricerca. La nota dolente, nel caso particolare dell’Italia, riguarda il fatto che siamo carenti nella fase di trasferimento tecnologico, mentre altri Paesi con una mentalità capitalistica più radicata sono decisamente più capaci di sfruttare i risultati della ricerca e commercializzare le idee. I fondi del Pnrr dovrebbero aiutare a colmare questo tipo di lacune: l’Università di Catania, ad esempio, è capofila di Samothrace (ndr: Sicilian Micro and Nano Technology Research and Innovation Center), un’iniziativa che si avvale di 120 milioni stanziati con il Pnrr per la realizzazione di un ecosistema per l’innovazione. L’obiettivo è creare un punto di riferimento della Sicilia, e non solo, per il trasferimento e la valorizzazione della conoscenza nell’ambito delle micro e nanotecnologie.

Nei settori più tecnologici è molto sentito il tema della mancanza di competenze: è così anche nel campo dell’elettronica? Come ci si può attivare per rendere più attrattive le materie scientifiche e tecniche per le nuove generazioni?

Sicuramente il mismatch nei settori tecnologici è un problema reale: possiamo fare grandi investimenti per potenziare la produzione dei chip in Europa, ma se non avremo talenti da impiegare in que- ste fabbriche e centri di sviluppo, non andremo lontano. Non è un buon segnale il fatto che il numero di iscritti ai corsi di ingegneria elettronica in Italia sta calan- do a vantaggio di altri percorsi di studio. Ogni anno nelle università italiane si laureano meno di 1.000 ingegneri elettronici magistrali, un numero troppo basso, se pensiamo ad esempio che ST avrà bisogno nel breve periodo di almeno 100, 150 ingegneri solo a Catania. Per invertire la tendenza, credo si debba lavorare sui ragazzi a partire dalle scuole medie, dove sarebbe auspicabile anche un approccio diverso all’insegnamento della matematica: non è ammissibile che almeno la metà della popolazione scolastica non abbia un buon rapporto con questa disciplina, che invece è alla base di qualsiasi percorso di studio tecnico e scientifico. Dobbiamo lavorare in prospettiva, in modo da avere più ingegneri nelle nuove generazioni. C’è poi un discorso più ampio, culturale, che andrebbe affrontato: è vero che si sceglie di intraprendere un percorso lavorativo in un settore tecnologico perché si ha una passione particolare, ma è altrettanto vero che interessi e passioni sono stimolati dal contesto in cui si vive. Forse la figura dell’ingegnere elettronico è poco compresa e promossa: banalmente, i media danno solitamente molto risalto a figure come medici e psicologi ed è più facile che un giovane scelga di formarsi per intraprendere queste professioni piuttosto che altre. Tuttavia, è indubbio che oggi, rispetto a un paio di anni fa, si parla molto di più dell’elettronica, a cominciare dall’ambito decisionale della politica nazionale ed europea, fino a permeare anche l’opinione pubblica: complici sono stati la crisi dei chip e, purtroppo, la stessa guerra in Ucraina, che sta mostrando al mondo quanto l’elettronica sia pervasiva e strategica nel settore militare.

Crede nella possibilità di riportare la produzione dei semiconduttori in Europa?

In un sistema economico interdipendente come quello attuale, è impensabile che una regione geografica sia completamente autonoma per quanto riguarda la produzione di semiconduttori, tuttavia, non si può nemmeno correre il rischio di essere dipendenti in modo esclusivo da un’unica fabbrica, come è successo con la taiwanese Tsmc. Le politiche recentemente varate negli Stati Uniti e nell’UE si sono poste l’o- biettivo di accorciare la filiera di produzione dei semiconduttori, ma tradurre in realtà questo obiettivo è un’operazione molto complessa: una fabbrica di semiconduttori di dimensioni nanometriche per i micro- processori più avanzati richiede investimenti miliardari in tecnologie che sono le più raffinate al mondo e per le quali l’Europa non possiede un know how. Parliamo di tecnologie a 3 nm, mentre in Europa siamo ancora nell’ordine dei 20-25 nm, anche se diversi istituti di ricerca europei, come Imec e il Fraunhofer, stanno lavorando per ridurre il gap. Quello che però l’Europa sa fare molto bene, – vedi oltre a ST, Nxp e Infineon – sono i microchip per l’automotive, che non utilizzano tecnologie all’avanguardia, ma tecnologie mature, che consentono di realizzare chip molto affidabili come quelli richiesti, appunto, dall’elettronica a bordo dei veicoli.

È docente dal 2002: sono passati solo vent’anni, ma dall’inizio del terzo millennio a oggi la tecnologia ha trasformato il modo di produrre, lavorare, consumare, interagire. Sono cambiati anche i modi di insegnare e di apprendere?

Non sono un conservatore, ma credo che per trasferire le conoscenze siano sempre attuali i metodi “tradizionali”: il mio sforzo, nell’attività didattica, è sempre stato rivolto a rendere comprensibili anche argomenti complessi e per farlo mi servo tutt’oggi di carta e penna, anche se mi avvalgo, ovviamente, dei nuovi strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione. Dal punto di vista dell’apprendimento, noto invece che è sempre più difficile, per gli studenti e non solo, mantenere alta la concentrazione: lo smartphone, sappiamo, è uno strumento prezioso, ma è anche una fonte di distrazione che rischia di penalizzare la qualità dello studio.


Chi è Salvatore Pennisi 

Salvatore PennisiHa conseguito la laurea in Ingegneria elettronica e il dottorato in Scienze Elettriche presso l’Università di Catania, la stessa dove oggi è professore ordinario di elettronica e presidente del Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Elettronica. Tra i diversi incarichi ricoperti, Salvatore Pennisi è Fellow Ieee e membro dal 2007 dell’Ieee Analog Signal Processing Technical Committee (Circuits and Systems Society); dal 2018 al 2020 è stato Coordinatore Nazionale dell’Area “Sistemi Elettronici Integrati” della Società Italiana di Elettronica, di cui è membro del consiglio direttivo e tesoriere dal 2021, ed è stato track chair e program committee member per diversi congressi internazionali. Ha curato, come responsabile, diversi progetti di ricerca in collaborazione con numerose aziende e università italiane ed estere su tematiche dell’elettronica circuitale analogica integrata e ha pubblicato più di 200 articoli in riviste e atti di congressi internazionali, oltre ad essere coautore di tre monografie scientifiche. Compositore e producer, ha inciso due dischi di musica jazz.


Potrebbe interessarti anche: 

ST: sarà in Italia il primo impianto completamente integrato per SiC

Articolo precedenteFarnell distribuisce in esclusiva i connettori Clipzin
Articolo successivoSECO lancia “CLEA Store”

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui