Una supply chain che non tiene il passo

La crisi pandemica ha evidenziato la necessità di aggiustamenti nei modelli di approvvigionamento tra case automobilistiche, fornitori Tier 1, fornitori di semiconduttori e le loro fonderie. Solo una collaborazione a livello di filiera potrà aiutare a limitare i danni.

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di Laura Reggiani |

La crisi dovuta alla carenza di semiconduttori ha colpito l’industria automobilistica nel momento in cui il settore stava iniziando a registrare una moderata ripresa dei livelli di produzione, dopo il rallentamento causato dalla pandemia.

L’aumento della domanda di chip proveniente dall’industria automobilistica è iniziato proprio nel momento in cui la supply chain era già in difficoltà a causa della significativa domanda di semiconduttori proveniente dal settore consumer, per telefoni e infrastrutture 5G, nuove piattaforme di gioco e apparecchiature IT. Non ci sono soluzioni facili; l’incremento delle capacità produttive dei semiconduttori richiede molto tempo, ma soprattutto molto denaro, e per questo i maggiori analisti prevedono che lo shortage potrebbe durare fino al terzo trimestre del 2021, quando la riallocazione della capacità delle fonderie e, forse, un certo raffreddamento della domanda di elettronica consumer dovrebbero portare maggiore sicurezza in tutta la supply chain.

Sebbene i principali fornitori di semiconduttori, come Tsmc e Umc, abbiano già annunciato significativi piani di investimento per aumentare le proprie capacità produttive, questi sforzi non daranno frutti a breve termine e costringeranno gli Oem del settore automotive a rivedere le proprie strategie di approvvigionamento di semiconduttori. La crisi ha infatti evidenziato che il tradizionale ciclo di fornitura a breve termine perseguito dalle aziende automobilistiche potrebbe non essere più consono ai cicli di produzione e a ai ritmi che il consumer impone ai produttori di chip.

IHS Markit, che ha analizzato la situazione dei chip dall’aprile 2020, si aspetta che l’intera supply chain introduca cambiamenti negli approcci alla gestione delle scorte per essere meglio preparata in futuro: “La causa di questa problematica situazione è il risultato della crescente domanda da parte degli Oem e dell’offerta limitata di semiconduttori, e non sarà risolta fino a quando entrambe le forze non saranno allineate. Se la causa fosse un disastro naturale, la catena di approvvigionamento risponderebbe con i piani di ripristino appropriati, ma qui si parla di bilanciamento tra domanda e offerta e di tempi di consegna che per i microcontrollori superano anche le 26 settimane. Per questo non possiamo attenderci cambiamenti se non nella seconda parte dell’anno”, ha affermato Phil Amsrud. IHS Markit ha anche stimato che nel primo trimestre del 2021 verranno prodotti quasi 1 milione di veicoli leggeri in meno, proprio a causa delle interruzioni nella supply chain. Audi, ad esempio, ha recentemente licenziato 10.000 lavoratori e ha annunciato ritardi su alcuni modelli; Volkswagen ha dovuto ridurre la produzione negli stabilimenti di Wolfsburg ed Emden “a causa della mancanza di microchip”; Ford ha sospeso per un mese la produzione della Focus; anche Honda, Renault, Toyota e Mazda hanno recentemente fatto annunci simili.

La dipendenza da Tsmc

La maggior parte delle interruzioni della produzione di veicoli sono attribuibili alla carenza di Mcu. I microcontrollori sono infatti oggi onnipresenti nei veicoli e sono richiesti in tutte le unità di controllo elettroniche presenti sulle auto. Sono utilizzati in tutte le aree del veicolo, dai sistemi di frenatura al controllo dei finestrini; un veicolo medio contiene al suo interno più di 20 Mcu (una Chevy Equinox ne ha 27, mentre un’Audi Q7 fino a 38).

Per ogni Mcu vengono utilizzati più fornitori, nominati in base a uno “schema di acquisto di- retto”, secondo cui l’Oem indica al fornitore Tier 1 il fornitore di livello 2 e di livello 3 da utilizzare. Ogni veicolo si affida quindi a più fornitori di Mcu. Va segnalato anche che i microcontrollori, essendo architetture proprietarie, non consentono facilmente una “second source” di un altro fornitore. Lo shortage di microcontrollori influirà quindi in modo pesante sul lavoro dei Tier1 come Bosch, Continental e Denso, che producono ciascuno almeno 30 Ecu diverse per diverse esigenze automotive, e che hanno già confermato lo shortage di questi dispositivi.

Inoltre, i sette principali fornitori di Mcu rappresentano circa il 98% della domanda e solo pochi di loro, con STMicroelectronics in primo piano, mantengono un livello elevato di integrazione verticale; tutti gli altri sono invece strettamente dipendenti dalle fonderie e in modo particolare dalla taiwanese Tsmc. Tale dipendenza da Tsmc è stata costruita nel tempo, poiché molti produttori di chip hanno perseguito negli anni una strategia “fab-light”. Tsmc, che attualmente è arrivata a produrre circa il 70% di tutti i chip venduti al settore automotive, da parte sua già nel 2020 aveva annunciato qualche limite di capacità produttiva, motivato anche dal fatto che l’automotive contribuisce solo al 3% delle entrate totali di Tsmc.

Tutto questo ha portato un notevole impatto sui tempi di consegna: per un Mcu che richiede in genere 12 o al massimo 16 settimane dalla produzione alla consegna, bisogna ora aspettare anche 38 settimane. La pandemia ha infatti solo messo in luce la fragilità di un ecosistema, in cui ci sono in gioco molte altre dinamiche. Fortunatamente il mercato sta assistendo a casi limitati di ordini doppi o tripli da parte degli Oem, il che significa che la supply chain può essere relativamente sicura dei dati sulla domanda. Tuttavia, ciò non cambia il problema fondamentale che la domanda automobilistica sta superando l’offerta Mcu.


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