Supply chain: scelte difficili

Diversi fattori di natura economica e politica oggi incidono sulle scelte di approvvigionamento delle imprese. Li ha analizzati il convegno dal titolo “Variabili geopolitiche e volatilità dei prezzi”, organizzato da Adaci, l’Associazione italiana Acquisti e Supply Management.

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di Virna Bottarelli |

Variabili geopolitiche e volatilità dei prezzi” è il titolo del convegno organizzato da Adaci, l’Associazione italiana Acquisti e Supply Management, in apertura del summit mondiale dell’International Federation of Purchasing and Supply Management.

L’evento si è tenuto il 21 settembre presso il Palazzo Borghese di Firenze e ha visto la partecipazione di diverse cariche istituzionali di Adaci, di manager degli acquisti di diverse realtà aziendali e di esperti che a vario titolo hanno affrontato le problematiche, di natura economica e politica, che stanno impattando in modo importante sulle scelte delle imprese in merito agli approvvigionamenti e alle catene di fornitura.

Nuovi equilibri e nuove strategie

In Adaci fanno notare che le logiche di mercato che hanno caratterizzato il passato, ispirate a dottrine economiche proprie della globalizzazione e alla ricerca costante della massima competitività, non sono più scontate.

Come hanno detto recentemente anche Shawn Donnan ed Enda Curren di Bloomberg: “Le multinazionali occidentali che per anni hanno ignorato la geopolitica e cercato solo il profitto, stanno costruendo le fabbriche in paesi amici”. Con la pandemia, la crisi nelle catene di fornitura, i conflitti geopolitici e i cambiamenti nelle strategie energetiche degli Stati europei, l’inflazione e l’ascesa dei prezzi, le politiche e le strategie di gestione degli acquisti e delle catene di fornitura, in tutte le filiere produttive, hanno subito, in effetti, degli stravolgimenti. In più, si aggira lo spettro di una Cina che non cresce più come nei suoi tempi d’oro e di un’economia europea in rallentamento.

Donato Gianantoni, presidente Adaci sezione Emilia-Romagna e Marche, dipinge il quadro della situazione: “C’è preoccupazione per il calo segnato dall’economia cinese, per noi mercato sia di import che di export, e per il rallentamento di quella tedesca, notoriamente motore di Eurolandia che, a sua volta, nel complesso, segna uno stallo nella crescita del Pil. Dal canto loro gli Stati Uniti continuano a crescere, ma il tasso registrato nel primo trimestre 2023, del 2,1%, è inferiore alle attese”. Incertezza da un lato, quindi, e nuovi equilibri dall’altro: “Al bipolarismo Usa-Cina di cui si parlava fino a poco tempo fa si contrappone ora un mondo diviso in Occidente e resto del mondo: the West and the Rest. E in quello che si definisce resto del mondo si osservano nuove mosse da parte dei Brics – Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa – pronti ad accogliere nelle loro fila, dal prossimo anno, l’Arabia Saudita, l’Argentina, l’Egitto, l’Etiopia, gli Emirati Arabi Uniti e l’Iran”.

La questione energetica

In crescita o in stallo che sia, l’economia ha bisogno di energia per qualsiasi attività. E anche su questo fronte lo scenario è complesso. Alberto Clò, già ministro dell’Industria, del commercio e dell’artigianato negli anni Novanta, ha commentato quanto sta accadendo sul mercato delle fonti energetiche, a cominciare dal gas, che giusto un anno fa era in cima alle priorità del Governo: “Archiviata la questione del gas russo, che i Paesi europei sembrano aver risolto grazie alla diversificazione delle fonti di approvvigionamento, oggi il problema principale è il prezzo del petrolio. E si tratta di un problema destinato a durare, perché il petrolio rimarrà la primaria fonte energetica anche nei prossimi anni: il consumo di greggio sta aumentando, nonostante si parli continuamente di green e transizione energetica”.

Mentre il gas, infatti, contribuisce per un quinto alla produzione di energia, il petrolio è ancora la prima fonte di energia in Europa. “Non è realistico pensare che le fonti rinnovabili sostituiranno il petrolio: credo che saremo ‘ostaggi’ delle fonti fossili ancora per un secolo, anche perché le rinnovabili hanno in generale una bassa redditività e faticano ad attrarre gli investimenti necessari a costruire le infrastrutture da esse richieste”. E, ancora, guardando al futuro, Clò accenna a un nuovo ordine energetico mondiale, nel quale “i Governi torneranno a essere attori principali, saranno loro a decidere prezzi e fornitori, con una conseguente limitazione delle liberalizzazioni”.

Non dimentichiamoci delle materie prime

Anche Gianclaudio Torlizzi, Energy & Commodity Advisor del Ministero della Difesa e di quello delle Imprese e del Made in Italy, ha parlato delle problematiche connesse alla transizione green, sottolineando come questa richieda di ristrutturare, oltre all’intera infrastruttura energetica, la catena di approvvigionamento. Un’operazione tutt’altro che banale, in una fase storica come quella attuale, nella quale si parla molto di frammentazione, rischi geopolitici e blocchi commerciali, ma poco delle materie prime e del loro ruolo fondamentale nella transizione stessa. “Credo che la politica da tempo non abbia il polso della situazione: non si è prestata attenzione al fatto che il percorso verso la transizione energetica si tradurrà in un aumento esponenziale della domanda di rame, litio, nichel, manganese, cobalto, grafite, molibdeno, zinco, terre rare e silicio e che per l’Europa è impossibile soddisfarla in autonomia”. Il Vecchio Continente rimarrà fortemente dipendente dalle importazioni da Paesi con i quali potrà essere più complicato instaurare rapporti commerciali: uno su tutti, la Cina.

Conoscere e mitigare i rischi

In uno scenario simile a quello descritto nei vari interventi, qui ripresi in modo sintetico, ogni scelta deve essere preceduta da attente valutazioni e da un’analisi dei rischi il più possibile approfondita. Benny Tänzer, Senior Partner di Expense Reduction Analysts, ha evidenziato come ci si trovi in una fase di “crisi permanente” e come sia fondamentale l’attività di contenimento dei rischi. In sostanza: non possiamo eliminare le criticità presenti in un mondo che si fa sempre più complesso e che, nonostante i venti di protezionismo, rimarrà fortemente interdipendente, ma possiamo conoscerne i rischi e, appunto, mitigarli. “La volatilità oggi interessa sempre più voci di costo, core e non core”, ha concluso Tänzer. “Non ci si può permettere quindi di non presidiare anche queste ultime, il cui controllo può essere delegato a società specializzate nell’analisi del rischio”.

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