Ilaria Sangalli è responsabile dei contenuti del rapporto di previsione Analisi dei Settori Industriali (ASI) Intesa Sanpaolo-Prometeia e dal 2022 coordina il team degli economisti settoriali presso la Direzione Studi e Ricerche di ISP. Nell’autunno del 2022, intervistata da Elettronica AV, aveva evidenziato come il conflitto tra Russia e Ucraina stesse rendendo sempre più centrale il tema della transizione energetica. A pochi mesi dall’inizio del conflitto, purtroppo ancora in corso, la transizione si rendeva necessaria “non solo per ridurre le emissioni di gas a effetto serra, obiettivo chiave dei protocolli europei e mondiali di salvaguardia dell’ambiente, ma anche e soprattutto per aumentare la sicurezza energetica europea e italiana, e calmierare la volatilità dei prezzi, divenuta ormai un fattore di rischio per famiglie e imprese”.
Che cosa è successo da allora? Il costo dell’energia è ancora un’emergenza?
La spirale inflattiva causata dalla crisi energetica è stata particolarmente intensa per il nostro Paese, penalizzato da una struttura di produzione dell’energia elettrica molto sbilanciata verso le centrali a metano. Al momento dello scoppio del conflitto, inoltre, l’Italia mostrava una forte dipendenza dal gas proveniente dalla Russia. Sicuramente un’esposizione inferiore a quella tedesca, ma comunque rilevante: il peso medio della Russia sull’import complessivo di gas dell’Italia era pari al 41,6% nel triennio 2019-21, a fronte di un 20,3% di peso dell’Algeria e di quote residuali attribuibili agli altri paesi fornitori (Nord Europa, Libia e Azerbaijan) e al GNL, il Gas Naturale Liquefatto (17,3%). Da quel momento sono stati compiuti importanti passi in avanti, a iniziare dalla diversificazione degli approvvigionamenti energetici. Già a fine 2022, il peso della Russia sulle importazioni italiane di gas era sceso al 19%, a fronte di un aumento delle forniture da Algeria e Azerbaijan, ma anche dal Nord Europa, e a un potenziamento della quota di gas importata in forma liquida. Inoltre, si è intensificata la spinta sulle fonti rinnovabili di energia (FER), come testimonia, del resto, anche l’innalzamento degli obiettivi di copertura dei consumi energetici da fonti FER contenuta nell’ultima bozza del PNIEC (Il Piano Nazionale Integrato Energia e Clima), in fase di aggiornamento. I prezzi dell’energia hanno già registrato una considerevole discesa dai picchi del 2022 e sono attesi scendere ulteriormente, allentando la morsa sui costi operativi delle imprese. Certo, il 2023 è stato un anno complesso, per via di un contesto operativo che resta teso su più fronti. L’inasprimento delle tensioni in Medio-Oriente e la crisi nel Mar Rosso, infatti, sono andate a innestarsi in un quadro geopolitico già segnato dal conflitto russo-ucraino, condizionando la crescita dell’economia mondiale. I riflessi delle crisi geo-politiche su commodities e costi di trasporto sono per ora contenuti, ma non possiamo ancora eliminare del tutto le ipotesi di nuove pressioni, che condizionino il sentiero di discesa dell’inflazione. Si pensi, ad esempio, come proprio per effetto della diversificazione delle forniture energetiche, siano cresciuti i flussi di GNL in transito dallo stretto di Bab elMandeb (Golfo di Aden, Mar Rosso): si tratta dell’8% circa per l’Italia, sul totale del GNL importato nel 2023, una quota sensibilmente più alta rispetto al passato.
Come procede la transizione green nel nostro Paese?
Affrontare piani di investimento pluriennali avendo di fronte un panorama ancora incerto è indubbiamente una sfida per le imprese. Dall’osservatorio privilegiato che, come Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo, abbiamo sul mondo corporate, possiamo tuttavia affermare che transizione green e transizione digitale restano prioritarie. La 18sima indagine sul sentiment delle imprese rilevato dai colleghi gestori, condotta a fine 2023, fa emergere, infatti, come la riduzione dei consumi energetici rientri tra i primi tre driver di crescita degli investimenti 2024. Soffermandosi nello specifico sulla transizione green, tra le azioni privilegiate spiccano l’aumento dell’energia prodotta da impianti alimentati con fonti rinnovabili (FER) e una maggiore attenzione all’efficientamento energetico, accanto a iniziative di economia circolare. Da segnalare anche il ricorso a fornitori che possano ridurre l’impatto ambientale della filiera, a testimonianza del grande impegno del mondo industriale verso tutto ciò che possa contribuire ad affrontare al meglio la sfida green, calmierando anche i rischi in chiave prospettica. Gli investimenti in sostenibilità, del resto, hanno già pagato in termini di marginalità durante un anno difficile come lo è stato il 2022. Da un’analisi che abbiamo realizzato incrociando i dati di bilancio 2022 delle imprese manifatturiere con le informazioni sulle leve strategiche attivate, emerge una correlazione positiva tra l’essere imprese top performer per margini e l’aver puntato su strategie quali brevetti, marchi e autoproduzione di energia. In particolare, le imprese che nel tempo hanno ricevuto incentivi per l’installazione di impianti alimentati da fonti FER non solo si sono posizionate meglio in termini di marginalità unitaria in percentuale del fatturato nel 2022, ma hanno anche registrato un delta margini più ampio sul 2019. Anche pensando in un’ottica più ampia, che vada oltre il 2024, le prospettive migliori sono associate ai settori legati alla doppia transizione (Meccanica, Elettronica, Elettrotecnica, Automotive), sostenuti dai fondi europei del Next Generation EU. Sono fiduciosa anche in merito all’effetto traino sugli investimenti volti al risparmio energetico che potrà esercitare il piano Transizione 5.0, accanto al 4.0 per l’acquisto di beni e software.
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