di Mirco Spaggiari |fondatore di Om.En
La leadership tradizionale, legata ai vecchi modelli organizzativi, può funzionare bene quando la soluzione a un problema è nota e diretta. Se invece il problema o le circostanze richiedono una soluzione veramente originale, nessuno può decidere a priori quale sia la direzione da intraprendere. Questa è la situazione in cui si trova di fronte il leader quando ha a che fare con il processo di innovazione. Quale dovrebbe essere quindi il nuovo approccio? Il ruolo di un leader dell’innovazione agile non può più riguardare solo la creazione di una vision e la capacità di persuadere in qualche modo le persone a seguirla. Lo scopo deve essere anche quello di creare una comunità motivata, in grado di generare nuove idee e, quindi, nuove soluzioni. Il leader non dovrebbe più porsi la domanda “Come faccio a fare innovazione?”, ma piuttosto “Come posso creare i presupposti organizzativi affinché essa accada?”.
Definire l’innovazione che si vuole realizzare
L’innovazione avviene in comunità di persone che hanno sviluppato uno scopo, dei valori condivisi e delle regole di partecipazione che sono progettate per incoraggiare la collaborazione, la ricerca di nuova conoscenza e un processo decisionale integrativo. Ed è qui che risiede la responsabilità del leader dell’innovazione agile, che si ritrovi calato nel ruolo del processo di innovazione: capire veramente cosa si desidera per l’organizzazione, per la propria comunità e per se stessi, è il primo importante passo da compiere per un leader. Non si tratta di un passaggio semplice, in quanto richiede la qualità rara della lungimiranza. Il tipo di comunità che ci si avvia a creare dovrebbe essere funzionale alla tipologia di innovazione che si desidera implementare.
Il ruolo del leader dell’innovazione agile
Per utilizzare una metafora, il ruolo di leader dovrebbe assomigliare più a quello di timoniere della nave piuttosto che a quello di comandante. Il leader non si occupa di spiegare le regole che ritiene valide e di convincere il gruppo ad adottarle, quanto piuttosto di lasciare il gruppo libero nella scelta delle regole mentre egli mantiene saldo il timone dell’attenzione verso identità, valori condivisi, obiettivi appena creati e sulle attività che si andranno a svolgere. Il ruolo del leader sarà di ricordare l’importanza di dotarsi di regole per la tutela della comunità stessa, in vista delle attività che verranno e che ne determineranno il cammino. Generalmente, se i valori condivisi implicano la fiducia, il rispetto e l’influenza reciproca, può essere utile stabilire come ‘norma’ che tutti nella comunità abbiano voce in capitolo e che tutti abbiano facoltà di poter influenzare il processo decisionale. Anche i membri della comunità che sulla carta risultano i più inesperti in un argomento, dovrebbero avere la possibilità di poter esprimere la loro opinione, di essere ascoltati al pari di tutti gli altri e di essere considerati per il messaggio che veicolano piuttosto che per la forma con la quale lo comunicano. Il leader dovrebbe riuscire a svincolare la comunità dalle rigide strutture organizzative a silos – dove gruppi separati sono dedicati alle specifiche fasi dei processi – e incoraggiare invece la formazione di gruppi inter-funzionali per facilitare l’interazione del problema con un più ampio numero di punti di vista.
La cultura dell’innovazione
Chi sceglie di creare una cultura dell’innovazione continua nella propria organizzazione sceglie anche di abbracciare la metafora del viaggio e quindi di dare eguale importanza sia all’obiettivo da raggiungere che all’esperienza maturata nel raggiungerlo. All’interno di questa rappresentazione anche il nuovo prototipo di leader trova la sua giusta collocazione. Le sue preoccupazioni principali saranno:
- assicurarsi che le ricadute dell’innovazione non si limitino a impattare su un singolo settore dell’organizzazione ma che, più o meno direttamente, vengano assorbite da ogni dimensione dell’azienda;
- attuare strategie che aiutino le persone a crescere assieme ai prodotti che creano e fare in modo che le persone siano in qualche misura partecipi in tutte le fasi del processo (soprattutto quello decisionale);
- condividere sia i risultati positivi che quelli negativi e, nei limiti del possibile, celebrare entrambi. Imparare a dare un valore anche agli errori in quanto opportunità per imparare;
- cercare di motivare le scelte e renderle il più possibile partecipate, anche se poi ci sarà sempre chi avrà diritto.
La cultura si mantiene nel lungo termine soprattutto attraverso le pratiche, quindi promuovendo nuove abitudini e motivandole in funzione delle ideologie legate all’identità e ai valori condivisi che la comunità ha creato per se stessa. La cultura si conserva anche evitando di imporre decisioni dall’alto, facendo un passo di lato, mettendosi alla guida del flusso creativo collettivo attraverso il dialogo partecipato.
Con questo approccio non si rischia di perdere la cosiddetta “autorità del capo” nei confronti del proprio personale (comunque garantita dall’organizzazione aziendale), ma si viene a creare un altro tipo di autorità, quella del leader capace di parlare e vivere l’esperienza del processo assieme alla sua squadra. Si tratta di un tipo di autorità che trascende il limite imposto dalla suddivisione gerarchica, per abbracciare l’aspetto umano del rapporto con i membri della squadra, verso i quali si guadagna fiducia. Questo tipo di autorità ripaga abbondantemente, conferendo maggiore autonomia alla squadra, in un ciclo virtuoso dalle ricadute vastissime.