di Virna Bottarelli |
“Percepire le esigenze delle imprese, capirne gli obiettivi e mettere a punto strumenti che consentano loro di raggiungerli”. È questa, secondo Guido Guidesi, da gennaio 2021 Assessore allo Sviluppo Economico della Lombardia, l’attività che la Regione è chiamata a svolgere per sostenere la competitività del sistema economico territoriale.
L’articolo integrale è pubblicato sul numero 14 di Elettronica AV
Con 814.756 imprese attive a fine 2021 (dati Unioncamere), la Lombardia continua a essere il motore dell’economia nazionale: nel 2020, secondo i dati Istat, il Pil regionale ha rappresentato il 22% di quello italiano. La dinamicità dell’economia lombarda è anche frutto di un rapporto consolidato tra pubblico e privato. Come dice ancora Guidesi: “Il dialogo con le associazioni di categoria e il contatto con le imprese è diretto: il fatto di poter visitare spesso le aziende in prima persona ha per me un grande valore”.
Quali caratteristiche hanno permesso alle imprese lombarde di essere il motore dell’economia nazionale?
I fattori principali sono l’ingegno degli imprenditori, la competenza della forza lavoro e un tessuto culturale che considera le aziende parte integrante della società. Il lavoro è un principio fondante della nostra comunità, che si nutre di una connessione continua con le aziende. Per queste ultime c’è indubbiamente un humus positivo e se non ci fossero quei fattori esterni che stanno limitando le possibilità produttive delle aziende, in Lombardia saremmo nel pieno di un boom economico e industriale. Quasi tutte le filiere del territorio, infatti, registrano un picco di ordinativi che non si vedeva da quindici anni, ma, purtroppo, molte realtà sono impossibilitate a produrre, da un lato per la difficoltà di reperimento delle materie prime e dall’altro per i costi energetici, che rappresentano una voce primaria dei piani economici aziendali. Vi sono casi in cui, nonostante l’alto numero di ordinativi, le attività sono state sospese perché, in presenza di spese energetiche altissime, produrre sarebbe stato più oneroso rispetto a fermare le linee.
Sul caro-energia aveva lanciato l’allarme già alla fine del 2021…
Il primo comunicato pubblico della Regione rispetto all’allarme sui costi energetici risaliva al 20 ottobre e arrivava dopo due settimane di interlocuzione con il Governo sul tema. A livello sovraregionale si pensava probabilmente che la situazione fosse temporanea, invece, purtroppo, si trattava, come noi stessi avevamo indicato, a ragione, di un problema strutturale. Nell’acquisto del gas, ad esempio, le aziende avevano già visto lo scorso anno triplicare i costi. Oggi abbiamo prezzi che sono otto-dieci volte tanto quelli del 2021. Gli interventi governativi (ndr: il decreto-legge 1° marzo 2022 “Misure urgenti per il contenimento dei costi dell’energia elettrica e del gas naturale, per lo sviluppo delle energie rinnova- bili e per il rilancio delle politiche industriali”) non sono stati tempestivi e non mettono a disposizione risorse sufficienti. Solo in Lombardia, per calmierare i costi dell’energia per le attività produttive, avremmo bisogno di 17-18 miliardi di euro, una cifra che le risorse stanziate dal Governo non coprono. Se consideriamo poi che la Commissione Europea ha dato una prima, limitata, risposta al tema solo cinque mesi dopo l’allarme da noi lanciato, dando la possibilità ai Governi nazionali di attingere all’extra-gettito dei fornitori di energia, si comprende che si è agito con molto ritardo e che c’è ancora molto da fare.
Quali interventi sono auspicabili per scongiurare il blocco della ripresa avviata nel 2021?
Servono innanzitutto più risorse per arginare il problema dei costi energetici e consentire quindi alle aziende di produrre, per esaudire gli ordinativi che già hanno in casa. Dobbiamo evitare il paradosso secondo il quale il Governo non ha risorse per rispondere alla crisi energetica, ma si trova poi a doverne allocare in ammortizzatori sociali per rispondere alla crisi economica innescata dal blocco delle attività produttive. Ci sono poi da compiere scelte strutturali per sostenere a tutti gli effetti una diversificazione della fornitura energetica. Non parlo solo del gas, ma anche delle energie rinnovabili: ci sono molte aziende, ad esempio, che vorrebbero investire nel fotovoltaico, ma che ad oggi non sono incentivate a farlo, per via di procedure burocratiche ancora complicate e perché non vedono una effettiva possibilità di ammortizzare l’investimento. I contratti di Scambio Sul Posto hanno ancora dei limiti che non incentivano la scelta di installare un impianto per produrre energia da immettere nella rete. In questo ambito, in effetti, il Governo si sta muovendo, anche grazie al dialogo con le Regioni. Non vedo, però, le risorse che invece vanno necessariamente stanziate.
Con quali azioni e strumenti la Regione incentiva l’innovazione nelle imprese?
Gli strumenti di sostegno all’innovazione e alla digitalizzazione sono diversi, ma il nostro compito principale è connettere il know-how di cui disponiamo sul territorio: troppo spesso i risultati dell’attività di ricerca non vanno a beneficio della filiera produttiva, che così non si innova né rinnova. Ci sono esperimenti già in corso di realizzazione, come il Milano Innovation District (ndr: la città della scienza che sta sorgendo nell’area di Expo2015) e il Parco Cardano a Pavia, uno spazio che vedrà l’insediamento dell’Università e di diverse aziende. In particolare, guardiamo con attenzione alle esigenze delle Pmi, per le quali abbiamo a disposizione anche risorse europee, mentre serviamo le grandi imprese attraverso una collaborazione con il Mise. A marzo abbiamo approvato anche una Manifestazione di interesse per lo sviluppo e il consolidamento delle filiere produttive, un’iniziativa finalizzata a raccogliere progetti per valorizzare filiere già esistenti e individuarne di nuove, alla quale possono partecipare aggregazioni di imprese già costituite o imprese interessate ad associarsi con altre imprese in partenariati di filiera o ecosistema. Crediamo che questo sia uno strumento importante per fare sul territorio una politica industriale a medio-lungo termine e instaurare un modello positivo che possa essere replicato, magari, anche a livello nazionale.
Il Pnrr è un’opportunità di sviluppo e un banco di prova per la capacità progettuale degli enti locali. Come si sta muovendo la Regione?
La Regione ha la disponibilità delle risorse sul- le materie che le competono costituzionalmente, come la sanità. In ambito di edilizia sanitaria abbiamo già pianificato gli investimenti e ci siamo confrontati con il Ministero dello Sviluppo Economico, condividendo la scelta di adottare il credito di imposta per le aziende, perché crediamo che questo consenta loro una certa autonomia nel raggiungere gli obiettivi. Sono però convinto che le risorse del Pnrr possano essere messe a terra in modo efficiente solo se il Governo coinvolge direttamente le Regioni, dal punto di vista progettuale e strutturale. In caso contrario, se si sceglie la via di una gestione centralizzata, che tenga meno conto delle specificità dei territori, vedo un maggiore rischio di dispersione delle risorse e di mancato rispetto delle tempistiche.
È stato deputato e sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio: quanto del “metodo lombardo” ha portato nella politica nazionale?
Non è semplice portare il pragmatismo e la concretezza lombardi nel mondo della politica nazionale, che è molto diverso da quello locale e avrebbe un gran bisogno di “metodo lombardo”. In generale, credo si debbano valorizzare le differenze territoriali e culturali che caratterizzano il nostro Paese, perché a beneficiarne sarebbe il Paese stesso, anche sul piano internazionale. Per questo sostengo la necessità di una maggiore autonomia delle Regioni: ci consentirebbe di creare più indotto e opportunità di lavoro.
L’articolo integrale è pubblicato sul numero 14 di Elettronica AV