Non di dazi muore l’economia, ma di incertezza

Il mese di aprile 2025 verrà ricordato per i dazi e e per avere  segnato una svolta drammatica per l’economia globale. Ne parla l’ultimo Osservatorio Ceresio Investors

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di Laura Reggiani | Il mese di aprile 2025 verrà ricordato per i dazi e e per avere  segnato una svolta drammatica per l’economia globale. L’Osservatorio Ceresio Investors lancia l’allarme: ci troviamo all’inizio di una recessione innescata non da guerre o pandemie, ma da decisioni politiche estreme.

Le prime due settimane di aprile hanno portato una serie di provvedimenti economici da parte dell’amministrazione Trump che, per impatto e conseguenze, sono stati paragonati a un vero terremoto. Il report dell’Osservatorio Ceresio Investors mette nero su bianco le fragilità di un sistema economico che ha perso l’orientamento. Secondo l’analisi, il problema non sono tanto i dazi in sé, quanto la totale imprevedibilità delle mosse americane. L’economia, come una bicicletta, può continuare a muoversi anche su un nuovo percorso, purché chi pedala sappia dove andare. Invece, la giungla normativa di tariffe e contro-tariffe ha fermato il movimento: imprenditori e consumatori scelgono di rimandare decisioni, congelando investimenti e spese.

L’indice di fiducia dei consumatori USA è crollato come non accadeva dal 1990, trascinato dalla paura dell’aumento della disoccupazione e dell’inflazione. Il timore di perdere il lavoro, unito al rialzo dei prezzi, sta creando un circolo vizioso che spinge le famiglie a risparmiare, aggravando ulteriormente la situazione.

Dazi grafico fiducia consumatori

Dazi, mercati finanziari, tariffe e tassi

Nonostante i segnali di rallentamento già presenti nei dati sul PIL (-0,3% stimato per il primo trimestre), gli analisti non hanno ancora rivisto le previsioni di crescita degli utili. Ma la realtà incombe: Wall Street è vulnerabile, e con lei la ricchezza delle famiglie e la capacità di investimento delle imprese.

Anche l’economia globale non gode di buona salute. Il fragile rimbalzo iniziato nei mesi scorsi rischia di trasformarsi in una frenata brusca, soprattutto per l’effetto domino che gli Stati Uniti, con le loro scelte unilaterali, stanno innescando.

Le tariffe doganali creano un doppio effetto: inflazione e recessione per chi le impone, deflazione e crisi produttiva per chi le subisce. In Europa, la rivalutazione dell’euro attenua le pressioni sui prezzi ma penalizza le esportazioni. Il vero nodo, però, è la mancanza di competenze industriali che impedisce di sostituire velocemente i prodotti importati.

La FED non ha margine per tagliare i tassi senza alimentare l’inflazione. Eppure, il dollaro si è indebolito: a pesare è la crescente sfiducia verso la leadership americana, percepita come imprevedibile e isolazionista. Una volta faro del libero mercato, oggi Washington appare più come un’incognita destabilizzante.

Con un debito pubblico vicino ai livelli italiani e un deficit doppio, gli Stati Uniti hanno poche carte da giocare sul fronte fiscale. L’Europa – Germania in testa – sta mobilitando risorse per sostenere investimenti strutturali, mentre la Cina può contare su strumenti di controllo diretti su imprese e banche.

Il futuro? Niente lieto fine (per ora)

Smantellare l’architettura di dazi e incertezza richiederà tempo, diplomazia e volontà politica. Intanto, i mercati navigano in acque torbide: le azioni americane rischiano un tracollo, mentre le obbligazioni europee potrebbero beneficiarne. Il credito, nel complesso, soffrirà. Una nuova fase storica si è aperta. E non sarà indolore.

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