di Fritz Walter |
Lo scavallare dell’anno è servito non solo a farci vedere picchi di pandemia mai raggiunti, ma anche, e soprattutto, a dare il via alla più rutilante campagna per la nomina del Presidente della Repubblica Italiana mai vista. Ovvio che, se non ci fossero stati di mezzo, tra gli altri, i super mediatici (o chiacchierati) nomi di Mario Draghi e del Cavalier Silvio Berlusconi, tutto sarebbe passato decisamente più in sordina. Come è sempre stato, del resto, per la nomina della più importante carica dello Stato.
Leggi gli editoriali di Elettronica AV
Non potrebbe essere diversamente. Quando una nomina è fatta da un esiguo numero di votanti (poco più di mille, formati da 630 deputati, 321 senatori, compresi i sei senatori a vita, e i 58 delegati eletti dai Consigli regionali) e non da un suffragio universale, dove vige il principio secondo il quale tutti i cittadini possono esercitare il diritto di voto, noi comuni cittadini non possiamo che essere spettatori paganti relegati in un loggione dalla scarsa visibilità.
Per questa ragione sono oramai trent’anni che il presidente della Repubblica è scelto tra un ristrettissimo numero di “politici” che nel bene o nel male potevano configurarsi come profili dai poteri «quasi neutri», al di fuori quindi della tripartizione legislativa, esecutiva o giudiziaria, in dote con il mandato presidenziale. Andando a ritroso:
- Sergio Mattarella, dal colorato curriculum politico con Democrazia Cristiana, Partito Popolare Italiano, Margherita e Partito Democratico;
- Sergio Napolitano, unico capo dello Stato a essere stato membro del Partito Comunista Italiano e il presidente eletto con il minor numero di voti negli ultimi cinquant’anni (il 53,8%);
- Carlo Azeglio Ciampi, per 15 anni governatore della Banca d’Italia e praticamente mai aderente ad alcun partito politico, anche se più volte considerato vicino al centrosinistra;
- Oscar Luigi Scalfaro, magistrato e ultimo eletto della Prima Repubblica, vide in prima persona l’ingresso in politica, tra gli altri, proprio di Berlusconi.
Ovvio che, per diverse ragioni, i nomi dei già menzionati Berlusconi e Draghi (rigorosamente citati in ordine alfabetico) cozzano con i loro predecessori; ma è anche vero che l’unico presidente elettro nell’era social è l’attuale Presidente Mattarella. In questi ultimi sedici anni (Napolitano è stato in carica nove anni) tutto è cambiato nel fare politica e, soprattutto, è cambiato il modo di comunicare in politica. Se così non fosse, il buon Donald Trump difficilmente sarebbe diventato il 45° presidente degli Stati Uniti d’America. Se così non fosse, difficilmente Donald Trump avrebbe perso le elezioni per il secondo mandato (non succedeva da trent’anni). Ma chi di social ferisce di social perisce.
Mai come oggi ci troviamo un parlamento “unitamente diviso”: tutti, o quasi, a tollerarsi pur di far parte del Governo targato SuperMario Draghi che, per inciso, a Palazzo Chigi ha fatto il suo sporco lavoro nell’era Covid. Tutti, o quasi, pronti a far proposte di nomi e, in contemporanea, ad alzare le barricate su altri papabili presentati dai vari schieramenti. Trovare un nome di unità non sarà facile. Trovare un uomo capace, ma dal nome semplice senza fare errori, è la missione dei moderni 1.000 garibaldini!