di Laura Reggiani | Pubblicato da Ceresio Investors e redatto dagli economisti Luca Paolazzi e Chiara Casale, l’ultimo studio “Osservatorio Ceresio Investors – Settembre 2024” presenta un’analisi della situazione economica globale, con particolare attenzione ai mercati finanziari, alla ripresa post-pandemia, all’inflazione e all’andamento di settori chiave come il manifatturiero e i servizi.
L’Osservatorio evidenzia il timore estivo di una recessione che ha nuovamente pervaso i mercati finanziari globali, scatenando un’ondata di vendite e facendo scendere i tassi di interesse. Le banche centrali, in particolare la FED, sono state accusate di essere in ritardo nella gestione della crisi, ma la recente decisione di tagliare i tassi suggerisce che Jerome Powell e la sua squadra sono consapevoli della situazione e pronti a intervenire. Tuttavia, gli indicatori economici mostrano un quadro più complesso, con una crescita economica che, sebbene non uniforme, rimane solida. L’economia globale continua infatti a crescere, ma con significative differenze geografiche e settoriali. Il settore terziario, legato ai servizi, mostra segnali di forza, mentre il manifatturiero soffre ancora a causa della stretta monetaria, degli shock energetici e delle tensioni geopolitiche. Il persistente squilibrio tra i due settori ha alimentato la paura di una contrazione della domanda e dell’attività economica, anche se la crescita complessiva rimane stabile grazie alla leggera accelerazione degli ordini nel settore dei servizi.
Consumi, inflazione e crescita dei servizi
Un elemento chiave che sostiene la crescita è il comportamento dei consumatori, soprattutto nei Paesi occidentali, dove la voglia di viaggiare e socializzare rimane alta anche nel 2024. Questo fenomeno è in parte il risultato di un “tesoretto” accumulato durante i lockdown e grazie ai trasferimenti statali. In Paesi come gli Stati Uniti e l’Italia, tale risparmio ha alimentato i consumi, mantenendo la domanda alta e contribuendo a evitare una crisi economica. Inoltre, il calo dell’inflazione ha reso reali gli aumenti salariali, garantendo ulteriore sostegno ai consumi e ai bilanci familiari. L’inflazione, principale preoccupazione degli ultimi anni, sembra quindi sotto controllo, con i prezzi al consumo che rientrano nell’obiettivo del 2% fissato dalle banche centrali. Tuttavia, i settori dei servizi, in particolare negli Stati Uniti e nell’Eurozona, continuano a registrare pressioni inflazionistiche. Questa situazione potrebbe ridurre i margini delle imprese, soprattutto quelle cicliche, e frenare la loro ripresa nonostante il calo dei tassi di interesse. Nel corso del 2023, si è assistito a un vero e proprio “tiro alla fune” tra il settore dei servizi e quello industriale. La domanda di servizi, legata a consumi non ciclici, ha superato quella del manifatturiero, tradizionalmente più vulnerabile agli shock economici. La riduzione dei tassi di interesse, che sta già avvenendo e potrebbe continuare nel 2024, potrebbe tuttavia favorire una ripresa del settore industriale, in particolare nei settori più ciclici come l’immobiliare e l’edilizia.
L’Eurozona: tra stagnazione e rischi geopolitici
Nel quadro ci sono molti nuvoloni e possibili temporali in arrivo. Il primo rischio è costituito dal fatto che le performance economiche continuano a essere molto differenziate tra le aree economiche. Con gli Usa che proseguono a marciare a buon passo: l’ultima stima per la variazione del Pil nel terzo trimestre è +2,9% annualizzato, dopo il +3,0% nel secondo e il +1,4% nel primo. Anche l’Asia avanza, con la staffetta tra Cina e India nella dinamica e con il Giappone che migliora. Invece, l’Eurozona continua a patire la stagnazione della Germania, colpita dalla transizione verde dritta al cuore pulsante dell’automotive, cosicché il manifatturiero si sta avvitando in una recessione che appare sempre più profonda. Il modello economico tedesco è messo in crisi, oltre che dall’avere nell’automotive una colonna portante (vale il 5% del Pil), anche da altre due sue caratteristiche, che possono essere ricondotte all’ossessione antidebito, che diventa pulsione per il risparmio. La prima è di aver sempre fatto leva sull’export, cioè sull’accumulo di risparmio da investire all’estero, come simbolo un po’ mercantilistico di potenza. Salvo poi finire per essere ostaggio dei debitori e dei mercati di sbocco. Così, se i cinesi la battono sul suo stesso terreno di gioco (l’auto elettrica cinese è molto più avanti, anche grazie agli investimenti tedeschi) e non desiderano più marchi stranieri, il petto germanico si affloscia. La seconda caratteristica è di aver aborrito il deficit e il debito pubblici, con il risultato che le infrastrutture sono cadenti, i treni si rompono, e la protesta sociale si incanala verso i partiti estremisti. Da segnalare anche che l’Europa è molto vicina ai fronti delle due guerre e che è chiamata a spendere di più in cannoni e meno in alimenti.
Cina: una crisi in evoluzione
A livello internazionale, la Cina rimane un enigma. Da un lato, il Paese continua a dominare molti settori produttivi grazie a economie di scala e a un avanzato sviluppo tecnologico. Dall’altro, la crisi del settore immobiliare e la riduzione dei consumi interni stanno soffocando la crescita della classe media urbana. Il rallentamento economico cinese potrebbe avere gravi ripercussioni sull’economia globale, accentuando le tensioni geopolitiche e alimentando i timori di una recessione a lungo termine.
In conclusione, mentre la paura della recessione continua a influenzare i mercati, la crescita economica globale sembra ancora reggere, sostenuta dai consumi e dalla ripresa dei servizi. Tuttavia, le incertezze legate alla politica monetaria, alle tensioni geopolitiche e alla situazione cinese potrebbero minare questa fragile stabilità. I prossimi mesi saranno decisivi per capire se il fantasma della recessione si materializzerà o se l’economia globale riuscirà, ancora una volta, a evitarlo.