di Laura Reggiani |
Abbiamo chiesto agli analisti di IHS Markit di fare luce sull’attuale problematica dello shortage dei chip, che sta compromettendo la produttività del settore automotive.
Gli Idm (Integrated Device Manufacturer) possono riportare un po’ di produzione in-house?
Gli Idm probabilmente non annunceranno presto piani per costruire nuove linee. Tuttavia, coloro che devono ancora esternalizzare il 100% della loro produzione alle fonderie e hanno mantenuto una capacità interna limitata, possono espandere la linea esistente. Potrebbero però volerci dai sei ai nove mesi. Pertanto, se i fornitori hanno iniziato alla fine del 2020, qualsiasi effetto significativo di tali misure non si vedrà prima del terzo trimestre del 2021. Ci sono infatti ostacoli significativi nel riavviare le linee o aggiungere nuova capacità e la produzione automobilistica richiede una lunga qualificazione di eventuali nuovi processi. La prospettiva di riportare la capacità in-house per risolvere una crisi a breve termine e poi magari ritrovarsi con capacità in eccesso non ha certo un grande fascino.
Si possono realizzare nuovi impianti produttivi?
Eventuali nuove fab richiederanno anni per essere operative. A gennaio, Tsmc ha risposto alla crisi promettendo 28 miliardi di dollari di investimenti per alleviare il problema, inclusa una nuova fabbrica in Nord America, che però non sarà operativa prima del 2024. La maggior parte degli investimenti, che sarà poi concentrata sui nodi all’avanguardia, in parte riflette l’intenzione di Intel di esternalizzare in futuro parte della sua produzione a Tsmc.
La pressione politica può aiutare a ridurre i problemi per il settore automotive?
Il 24 gennaio, i governi tedesco, statunitense e giapponese hanno invitato Tsmc ad affrontare la questione dello shortage di chip per auto. IHS Markit ritiene che qualsiasi impatto di questa iniziativa sarà limitato, poiché i produttori delle fonderie si focalizzano su dove è concentrata la domanda maggiore e l’automotive al momento
non è il principale motore della domanda. I governi occidentali hanno però riconosciuto l’importanza di ridurre la dipendenza delle loro industrie da fornitori di semiconduttori asiatici e stanno lavorando a piani che a medio termine possano affrontare questo problema. Ad esempio, il ministero tedesco dell’Economia e dell’Energia ha annunciato la sua intenzione di investire oltre 500 milioni di euro in ricerca, sviluppo e implementazione di nuove tecnologie nella microelettronica in Germania. Un progetto, approvato dalla Commissione UE, che coinvolge 29 aziende provenienti da Francia, Germania, Italia e Regno Unito, dovrebbe poi supportare la creazione di fabbriche di chip ad alte prestazioni. Come già detto, questo però richiede anni e non può essere considerato una risposta alla carenza attuale, anche se rappresenta un segnale della consapevolezza della questione a livello governativo.
Ciò si tradurrà in aumenti dei prezzi?
Gli Oem possono aspettarsi un aumento dei prezzi dei chip nei prossimi mesi, a causa dello squilibrio tra domanda e offerta. Sono infatti plausibili aumenti dei prezzi nell’ordine del 10-15%; questo impatto sarà tuttavia più limitato rispetto al costo di mantenere bloccata una linea di produzione di veicoli.
Cos’altro può essere fatto?
Nei prossimi trimestri sarà necessaria la collaborazione tra gli Oem e la catena di fornitura dei semiconduttori per gestire la situazione. La collaborazione consentirà a tutti gli Oem e ai fornitori Tier 1 di ottenere le necessarie forniture di Mcu; la sfida consisterà nel dirigere gli Mcu nei luoghi in cui gli Oem possono costruire i modelli che desiderano, poiché non saranno in grado di realizzare proprio tutto ciò che desiderano.
Quali saranno gli effetti a lungo termine?
Questa situazione aumenterà sicuramente la consapevolezza degli Oem, dei fornitori Tier
1 e degli Idm e li porterà a rivedere le attività di produzione in outsourcing e i rapporti con
le fonderie in un’ottica di riduzione della loro dipendenza. La carenza di chip, la pandemia Covid-19 e altri eventi verificatisi negli ultimi dieci anni aiuteranno ad aumentare la consapevolezza sull’importanza del monitoraggio e della gestione del rischio della supply chain.
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