La capacità di configurare la supply chain è ormai considerata una “strategic ability”. Non stupisce, alla luce di quanto accaduto negli ultimi anni: pandemia, shortage di materie prime, conflitti geopolitici, cambiamento climatico, aumento dei tassi di interesse.
Oggi il supply chain manager, un po’ mago un po’ direttore d’orchestra, tiene insieme le strategie aziendali, le risorse per attuarle e l’innovazione nei processi e negli strumenti. Motivi sufficientemente validi per presentare una prima edizione dell’Osservatorio Supply Chain Planning. La novità della famiglia degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano nasce infatti per offrire una panoramica del comparto, tra strumenti di pianificazione, tecnologie per validare la riprogettazione della rete distributiva, gestione di domanda, scorte, trasporti e tracciamento dei flussi fisici. Nonché per comprendere la maturità delle imprese italiane e, soprattutto, le basi per gli scenari futuri.
Le carenze del planning italiano
Gli osservatori normalmente affrontano temi innovativi, tendenze emergenti, perché allora dedicare uno studio a un tema “vecchio” come la catena di fornitura? “Non c’è mai stato un momento della storia in cui il supply chain manager abbia assunto la rilevanza che notiamo oggi”, precisa Alessandro Perego, responsabile scientifico dell’Osservatorio. “Il contesto geopolitico e la sostenibilità stanno forzando una spinta che mette al centro il supply chain planning. Inoltre, la velocità dell’innovazione digitale si scontra con la difficoltà di coglierla e di metterla a terra. Riteniamo fondamentale dedicare tempo e ricerche per aiutare le aziende a colmare il divario”.
Un divario di maturità che non riguarda solo il classico confronto tra Pmi e grandi aziende. Le criticità si riferiscono anche alle possibilità offerte dalla tecnologia e dalla conoscenza manageriale, da un lato, e alle pratiche adottate dalle aziende, dall’altro.
La prima componente è legata alla cultura del dato. La configurazione, la pianificazione e la gestione della supply chain sono attività altamente quantitative e analitiche, che richiedono un buon disegno end-to-end del flusso applicativo, ovvero dell’integrazione tra i diversi sistemi che gestiscono transazioni e Kpi.
Secondo, la grande complessità della gestione di processi così flessibili ha limitato, rispetto ad ambiti più verticali, l’applicazione di modelli di ottimizzazione. Infine, le pratiche gestionali sono in questo caso fortemente interconnesse al modello di business della singola azienda. Tradotto, i manager faticano ad aprirsi alle best practice esterne. Questo non fa che aumentare la resistenza al cambiamento e all’adozione di strumenti di gestione standardizzati.
La tecnologia è pronta, ma l’organizzazione?
Il fronte tecnologico, di suo, potrebbe bastare. Tuttavia, se è vero che i fondamentali sono ampiamente disponibili – data warehouse, data lake, data analytics, RFId, IoT -, e che la Cloud Transformation sta creando le condizioni architetturali per accrescere accessibilità, visibilità e collaborazione interorganizzativa, altre risorse come AI e Gen AI stanno letteralmente “scappando”.
Il susseguirsi di annunci rischia di creare un ulteriore divario tra teoria e realtà applicativa. Ricordiamo, inoltre, che parlare di supply chain digitale significa andare oltre la tecnologia. Serve inserire nuove competenze e ridisegnare i processi in base alla sua rapida evoluzione. Parola d’ordine, come in tanti settori, fare cultura.
Supportando le imprese che vogliono attuare progetti e fare loro comprendere che essere innovatori, nel prodotto o nella qualità, non è più sufficiente. Bisogna diventare “naviganti esperti” nei flutti globali delle catene del valore, con le giuste tecnologie digitali e competenze. In virtù di queste considerazioni, che potremmo definire programmatiche, l’osservatorio analizza lo status di tre specifiche dimensioni: processi, organizzazioni, tecnologie.
La maturità dei processi
Per rispondere tempestivamente ai cambiamenti dei mercati, serve un sistema efficace che consenta di misurare e monitorare le prestazioni della SC. Attività percepita come essenziale dalle imprese italiane: oltre l’80% degli end-user intervistati dichiara di utilizzare specifici Kpi (puntualità, completezza, costo delle penali, valore dei danneggiamenti ecc.) per la valutazione della propria supply chain.
Il 18%, invece, non ricorre ad alcun sistema. Si tratta soprattutto di piccole e medie imprese, che spesso non contemplano approcci basati su Kpi. Inoltre, più del 50% di chi utilizza strumenti specifici non misura le prestazioni in modo abbastanza completo. Limitandosi a indicatori di prestazione tecnica, come puntualità e completezza.
Solamente il 30% quantifica Kpi tecnici ed economici tali da valutare segnali forti e deboli. Circa un terzo di questi SC planner “evoluti” dimostra un alto grado di maturità servendosi di un sistema dedicato e tracciando tutti i segnali. Il resto considera solamente i problemi urgenti.
L’assetto organizzativo
Le persone hanno un ruolo. Tornando alla metafora iniziale, quando manca il direttore d’orchestra le cose non funzionano: a questo serve la figura del planner della catena di fornitura. Come siamo messi in tal senso? Il 54% delle Pmi possiede ruoli specificatamente dedicati alla pianificazione della SC, a fronte del 67% delle grandi imprese. L’averlo o meno dipende certamente dalla maggiore capacità finanziaria e organizzativa, ma anche dalla consapevolezza della sua importanza.
Va sottolineato, poi, che un quinto delle Pmi (21%) ancora non sente il bisogno di nominare questa figura. Tendenza decisamente meno diffusa tra le “big”, al 9% del campione. La motivazione è nelle dimensioni stesse dell’azienda. Le più grandi hanno bisogno di una pianificazione formale della SC, per gestire la complessità e ottimizzare costi e risorse. Nelle Pmi, questa gestione può anche essere meno strutturata e non dipendere da ruoli formali.
Le tecnologie digitali
Lo scenario applicativo italiano mostra una notevole resistenza agli strumenti digitali avanzati per la pianificazione di Demand Planning, Production Planning, Inventory Planning, Transportation Planning. Si spazia da soluzioni semplici, come fogli di calcolo sviluppati internamente, a sistemi cloud con algoritmi di ottimizzazione, capaci di elaborare dati da fonti interne ed esterne e di fare condivisione in tempo reale con i fornitori e clienti.
La maggior parte delle aziende non adotta nemmeno gli strumenti disponibili da decenni, come Mrp, Drp o Aps (Advanced planning e scheduling), e continua a operare in manuale con dati disponibili localmente. Questo scenario in cui ognuno si costruisce una sua bolla informativa, ostacola la condivisione dei dati all’interno dell’azienda e lungo la filiera. Impedendo di arrivare alla cosiddetta “Single Source of Truth”: l’unica fonte, riconosciuta da tutti come reale e affidabile, sullo stato della SC aziendale.
Domanda, produzione, trasporti
In dettaglio, nella pianificazione della domanda il 39% delle grandi aziende, contro il 18% delle Pmi, utilizza strumenti dedicati alla previsione, basati su dati importati dai sistemi transazionali o su dati di accuratezza delle previsioni passate. Solo una piccola quota delle grandi aziende usa strumenti più sofisticati, capaci di elaborare i dati da fonti interne ed esterne, con machine learning in grado di identificare pattern e tendenze dei dati in tempo reale. Nel production planning, la percentuale di chi utilizza gli strumenti dedicati scende al 27% nelle grandi aziende e al 6% nelle Pmi.
Il 10% delle prime utilizza anche l’ottimizzazione simultanea azienda-fornitori, con coinvolgimento sistematico dei fornitori. Nella gestione delle scorte, quasi la metà delle imprese si affida a fogli di calcolo, un terzo utilizza i pacchetti di business intelligence e una piccola quota adotta strumenti più complessi con regole variabili nel tempo. Ancora meno frequente, invece, l’adozione di tecnologie avanzate nella pianificazione dei trasporti. Circa un quarto delle imprese utilizza fogli di calcolo e solo una minoranza si affida a strumenti più sofisticati. Ovvero pacchetti per ottimizzare il costo totale del trasporto, considerando vincoli fisici e piattaforme cloud che gestiscono vettori per ottimizzare allocazioni, percorsi e scarichi.
“Le tecnologie digitali sono cruciali per la pianificazione della supply chain, ma non rappresentano la soluzione definitiva o il punto di partenza di una catena efficiente”, conclude Giovanni Miragliotta, direttore dell’Osservatorio Supply Chain Planning. “Il loro vero valore emerge quando vengono integrate in maniera coordinata e usate in modo maturo, all’interno di una strategia di gestione che abbraccia cambiamento organizzativo e ridisegno dei processi. Solo così sarà possibile affrontare le sfide attuali e future, sfruttando le opportunità dell’innovazione digitale per creare supply chain agili e resilienti”.
Mitigazione dei rischi e riconfigurazione della catena
Non c’è solo la pianificazione. Poco più di un quarto delle imprese intervistate dall’Osservatorio SC Planning dichiara di avere un processo strutturato per l’identificazione dei rischi e dei protocolli di mitigazione. Tuttavia, solo il 9% di queste estende il processo a tutti i fornitori critici. E solo il 3% analizza le sorgenti di rischio attraverso l’integrazione di dati provenienti da fonti diverse. Di contro, il 42% non possiede processo strutturato per la gestione del rischio e si affida all’esperienza dei manager. Un approccio limitativo, soprattutto in caso di fenomeni mai registrati in precedenza, e totalmente subordinato alle decisioni umane.
Anche i processi di riconfigurazione della supply chain comportano l’impiego ulteriore di risorse per raccogliere dati, monitorare i processi e valutare i risultati. A fronte di ciò, la metà degli intervistati dichiara di non utilizzare alcun tipo di strumento dedicato. Siamo al 60% nel caso delle Pmi. Questa percentuale di “immaturità” comporta anche una minore capacità di previsione e adattamento al contesto economico e geopolitico globale. Tra le realtà che attuano processi di revisione-riprogettazione, circa un terzo, vale per tutte le aziende, si affida a strumenti di analisi e valutazione per capire l’impatto delle decisioni, a prescindere che esista un processo periodico o continuo. Infine, il 15% delle grandi imprese si affida a strumenti più complessi di simulazione per scenari (what-if) e di ottimizzazione, contro il 7% delle Pmi.
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