Ancora disagi nella supply chain

Lynn Fritz, pioniere dell’industria della logistica, prevede ulteriori disagi e interruzioni nelle catene di approvvigionamento mondiali e spiega che il “reshoring” della produzione dei semiconduttori potrebbe richiedere almeno un decennio.

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Supply Chain Friedman Controcorrente

di Alan Friedman

In qualità di presidente e CEO della Fritz Companies Inc., con sede a San Francisco, Lynn Fritz conosce perfettamente le fonti delle più gravi inefficienze nelle supply chain mondiali. Nel 2001, all’età di 59 anni, dopo aver venduto la Fritz Companies a UPS, ha creato il Fritz Institute, un ente no-profit che collabora con governi e organizzazioni umanitarie di tutto il mondo per migliorare l’afflusso di aiuti e beni in zone colpite da disastri. Fritz presiede ora una conferenza annuale del settore della logistica umanitaria a cui partecipano le più grandi organizzazioni del mondo, incluse le Nazioni Unite, la Croce Rossa e importanti ONG internazionali. Ho intervistato per Elettronica AV il signor Fritz, di seguito riporto un estratto della conversazione.

Lynn Fritz supply chain

Lynn Fritz, lei è stato uno dei pionieri delle moderne industrie della logistica. Come vede le difficoltà e le interruzioni delle supply chain che abbiamo sperimentato con il Covid e la guerra in Ucraina? Secondo lei quali sono le prospettive?

Credo che siano disperatamente negative. Se guardiamo da dove vengono le forniture, se studiamo le tempistiche e le pratiche concrete del settore, non possiamo non concludere che questi temi siano ormai arrivati a influenzare il funzionamento del mondo degli affari a livello globale. Quando guerre, bombe, malattie o altri disastri bloccano il sistema, nasce l’incertezza che stiamo sperimentando adesso. La guerra e gli effetti che essa ha sulle catene di approvvigionamento, senza dimenticare quelli causati dal Covid, sono molto preoccupanti. Potremmo avere di fronte a noi ancora più incertezze, ancora più caos.

Tutto questo potrebbe rafforzare i rischi di recessione negli Stati Uniti?

Sì, penso di sì, nella maniera più assoluta.

Passiamo adesso all’industria americana. Sono stati i problemi alle catene di approvvigionamento causati inizialmente dal Covid a portare alla penuria di semiconduttori, che a sua volta ha provocato danni all’industria dell’automobile, ad Apple e a molte altre aziende, nonché ai consumatori. Nella sua opinione, questo sarà un problema anche in futuro?

Ritengo di sì. Anche se a questo si può trovare un rimedio. Però ci vorrà molto tempo, e parlo di parecchi anni, anche solo per approcciare la questione. Applaudo ciò che ha fatto Biden. Ha messo 52 miliardi di dollari di incentivi per aumentare la capacità di produzione di semiconduttori qui negli Stati Uniti. Ma sappiamo tutti che sarà questione di anni, non di mesi. La soluzione è ancora parecchio lontana.

Secondo lei, il Covid e magari la guerra in Ucraina hanno causato una de-globalizzazione o una re-regionalizzazione? Quali saranno gli effetti sulle supply chain globali?

Penso che sia triste che la globalizzazione venga smantellata, che sempre più nazioni virino verso il protezionismo e, per inciso, che sempre più soldi vadano alla difesa e non al commercio.

E cosa ne pensa del dibattito sul reshoring? Non si possono costruire Tesla o Volkswagen elettriche senza batterie al litio. E il litio viene dalla Cina. Anche questo è un obiettivo di lungo respiro. Un orizzonte temporale di più anni, o no?

È esattamente la stessa cosa. “Reshoring” non è che un nuovo termine per indicare una mancanza di interdipendenza o globalizzazione. In pratica significa che ci facciamo tutto in casa. E per un periodo molto lungo, tra l’altro. Con ogni probabilità sarà una sfida molto ardua. Difficile e disagevole.

Quindi cos’è tutto questo parlare di concetti come “reshoring” e “protezionismo”? Sono solo promesse elettorali o strategie che le industrie americane ed europee seguiranno concretamente?

Entrambe le cose. In questo caso la politica indirizza davvero le realtà effettive del nostro futuro. C’è una grande incertezza sulla situazione attuale, con la Russia e la Cina. Non voglio pensare agli sconvolgimenti che si abbatterebbero sul settore dei semiconduttori se davvero Pechino dovesse agire contro Taiwan.

Che produce il 75% dei semiconduttori d’America…

Esatto. E non solo d’America. Anche della Cina, se è per questo.

Lei ritiene che un approccio più duro da parte del presidente Xi abbia il potenziale di creare ulteriori movimenti sul fronte semiconduttori in futuro?

Sì. Oh, lo dico con enfasi, sta già succedendo. Non sono speculazioni, nella mia stima le minacce che stanno lanciando e le reazioni americane sono molto chiare.

Quindi non nutre fiducia riguardo al buon funzionamento delle catene di approvvigionamento: i commerci globali rallentano a causa degli sconvolgimenti causati dal Covid e dalla guerra in Ucraina, i problemi alle catene di approvvigionamento persistono, il reshoring continua ma né quello e neppure i 50 miliardi di investimenti di Biden garantiranno una qualche forma di sollievo a breve termine. E allora, all’orizzonte si intravede qualche buona notizia o no?

Beh, sì. L’unica buona notizia, volendo guardare le cose dal punto di vista delle supply chain, è che il trasporto è diventato significativamente più economico in un lasso di tempo davvero molto breve. Con il Covid e tutti gli altri fattori intercorsi due anni fa, le tariffe di navi e camion in Usa e in Europa occidentale sono scese a livelli a cui io non ho mai assistito in 40, 50 anni di lavoro nel settore. L’attuale de-escalation delle tariffe è una cosa mai vista prima.


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